Roberto Crippa (1921- 1972) è un artista
dalla formazione complessa, aperto alla cultura internazionale,
di matrice astratto-informale con influssi gestuali.
Sensibile
al linguaggio post-cubista e poi alle teorie del M.A.C., Crippa
scopre l'action painting di Jackson Pollock alle Biennali di
Venezia del '48 e del '50, restandone affascinato e contaminato,
facendo confluire in seguito queste esperienze nell'adesione
allo Spazialismo di Fontana, con il quale firma il terzo manifesto
spazialista del 1950, 'Proposta di un regolamento'.
Il periodo che segue, quello delle spirali, propone un concetto
spaziale in cui il movimento orbitale della linea, il "moto
spaziale" impresso dall'andamento dinamico del segno percorre
in tutte le sue possibili estensioni lo spazio della tela, che
la libertà gestuale della mano proietta oltre i limiti
del quadro stesso a suggerire una ideale continuazione dell'opera
in uno spazio mentale extra-fisico.
I contatti con l'ambiente newyorkese degli anni '50, che
annovera la presenza di Max Ernst, Roberto Matta, Brauner,
Tanguy ed altri surrealisti, mentre sollecitano un necessario
rinnovamento linguistico, più aderente ad una visione
in un certo senso concreta e mimetica della realtà,
al tempo stesso spingono l'opera di Crippa verso una più
decisa matericità, verso una figurazione primordiale,
espressione di una forza vitale potente e istintiva (è
questo il periodo dei totem), che si vuole sottrarre al controllo
razionale ed ai condizionamenti della civiltà.
Questo per sommi capi il percorso di "liberazione"
lungo il quale, alla fine degli anni '50, Roberto Crippa abbandona
la costrizione del segno e trasfoma radicalmente la sua tecnica
esecutiva, alla quale non basta più l'olio o l'acrilico,
alla ricerca di un contatto più diretto e fisico con
la materia, sostituendo la rappresentazione dell'oggetto con
l'oggetto stesso in collages polimaterici di forte valenza
plastica.
Materiali inconsueti nell'arte ma presenti nella
vita, catrame, cortecce, sugheri, tela, carta, assemblati
con colle e chiodi si compongono, tutt'altro che casualmente,
in armoniosi accostamenti di calibrato e sommesso cromatismo,
strutture in rilievo solidamente costruite ed attentamente
coordinate entro la superficie del quadro in un impianto di
rigore quasi architettonico.
Come si rileva in questo "Dramma di una palizzata"
del 1961, un sughero, collage su legno di 134 x134 cm (Galleria
Silvano Lodi jr.) che ha come soggetto una palizzata di legname
di recupero in assemblage provvisorio di precaria stabilità,
nella sostanziale plasticità scultorea dell'insieme
non viene mai meno un sicuro senso pittorico, un controllo
formale che asseconda, senza farsene condizionare, le naturali
caratteristiche della materia, portandone alla luce le intrinseche
proprietà primordiali, l'interiore poesia, una sorta
di memoria estetica che l'artista sa cogliere e rivelare,
mettendo le sue invenzioni linguistiche in rapporto empatico
con la condizione umana.
Solo gli artisti, infatti, come Crippa, ma anche Burri o
Tapies o Morlotti, sanno capire il valore poetico della materia,
sanno leggere il travagliato vissuto, il senso di sfacelo
e di degradazione dei relitti e degli scarti del nostro tempo
che tutto consuma, "Materie laide, se si vuole, ma
riscattate dalla fantasia, così come la fantasia riscatta
il colore chimico dei tubetti e raggiunge sempre per merito
suo, la sfera della poesia." (Marco Valsecchi su
Roberto Crippa, novembre/dicembre 1971)
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