Christian Boltanski (1944), artista francese
di padre ebreo, tra i massimi esponenti del contemporaneo concettuale,
propone con ricorrenza puntuale il tema del ricordo, della memoria,
del tempo e del suo trascorrere con linarrestabilità
e linevitabilità di ciò che, inesorabilmente,
si muove verso un esito finale.
Ne deriva il senso di precarietà e di umana fragilità
che caratterizza il suo operare, vero e proprio condensato di
eventi e periodi storici, di fatti della vita personale o collettiva,
ricostruzione della cronaca e della storia in un linguaggio
altamente simbolico, dove il ricordo si intreccia con il presente,
la vita con la morte, lio con lessere.
Il risultato è un grande affresco che appartiene a tutti,
in quanto umanità, e che non è di nessuno, in
quanto individuo, un racconto essenziale ed asciutto, senza
indulgenze sentimentalistiche, eppure commovente e struggente,
dove prevale il pudore del sentimento. Lutilizzo in chiave
meteforica di oggetti ordinari di grande potere evocativo, la
capacità di parlare il linguaggio dellanima attraverso
la banalità del reale costituiscono il fascino maggiore
dellopera di Boltanski, pervasa di contenuti umani profondi
ed universali che riguardano tutti gli uomini che abbiano affetti,
ricordi, presente, passato e, forse, futuro.
Straordinario poeta della memoria, Christian Boltanski porta
avanti da sempre, con ferrea coerenza, questo racconto bipolare
sul contrappunto vita-morte, con la consapevolezza che il
traguardo finale non può essere che uno, la fine di
unesistenza precaria ed effimera che si concluderà
senza risposte, senza soddisfare il grande dubbio sulla nostra
presenza in questa vita.
Eppure un modo cè per sopravvivere allannichilimento,
lo sa bene chi, ebreo e perseguitato, è scampato allolocausto
ed è in grado di raccontarlo nelle sue suggestive messe
in scena: è il ricordo, la memoria, la traccia di unidentità
che rinasce in una visione antropologica dellarte, negli
ambienti, nei luoghi, nelle immagini, nelle fotografie, negli
oggetti, nelle ricostruzioni di frammenti di vita pazientemente
raccolti in una molteplicità eterogenea che racconta
di persone anonime e ordinarie, ma non perciò insignificanti
o indifferenti.
"Mes morts", 2002, 16 dipinti su metallo e luci
al neon, è un archivio personale di sconcertante essenzialità,
una serie di date che racchiudono nel modo più stringato
possibile delle vite umane, inizio e fine, nascita e morte,
numeri in un cimitero della memoria, un ambiente lucido e
asettico come un obitorio dove luci fredde strappano riflessi
gelidi alle placche metalliche appese alle pareti.
Così ci racconta gli incubi del suo passato, enumerando con commovente semplicità, con pudore, con rassegnata pacatezza priva di ogni retorica, le persone che ha amato.
Affidando agli oggetti l'interpretazione iconografica di uno sconvolgente dramma umano, Boltanski prende le distanze da un evento emotivamente insopportabile per oggettizzarlo, per rappresentarlo, per potercelo raccontare.
In un'intervista del 2003, dichiara: "Il mio tema principale resta l'importanza e l'unicità di ognuno, e al tempo stesso la sua scomparsa."
E così, il passato e il tempo che scorre sedimentano in disordinati cumuli di indumenti che un giorno coprivano dei corpi, ipotetici resti di una reale Shoà, simulacri a cui l'artista riconsegna un'identità perché nessun essere umano possa essere dimenticato, perché ogni esistenza, anche la più umile, non debba disperdersi nel vento della storia.
il ricordo rivive nelle installazioni dove assembla le fotografie del proprio archivio o di perfetti sconosciuti incasellandole in una sorta di memoriale, componendo una grande narrazione collettiva dove ognuno trova posto, dignità e ricordo.
E lo stesso senso di partecipazione troviamo nella accurata catalogazione in ordine alfabetico di 2.639 elenchi telefonici che raggruppano "Les abonnès du télèphone" di tutto il mondo, una sorta di appello generale di migliaia di nomi senza volto, scritti nelle pagine ingiallite di vecchi cataloghi.
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