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Karl Hofer, "Le stanze nere"
di Alessandro Tempi
pubblicato il 23/06/2007
Un quadro premonitore che rappresenta la percezione dell'artista sulla situazione politica tedesca di quel periodo, inquietante metafora di ciò che il futuro riserverà alla Germania di lì a poco.
Karl Hofer, conosciuto come pittore di quadri di soggetto abbastanza tradizionale, dipinse la prima versione de Le stanze nere nel 1928 insieme ad altri due quadri – Yellow Dog Blues e Autoritratto con diavoli – che rappresentano la sua percezione della situazione politica tedesca del periodo. In questo "Le stanze nere", del 1943, olio su tela di 149x110 cm. oggi alla Nationalgalerie di Berlino, Hofer ci fornisce una inquietante metafora di ciò che il futuro avrebbe riservato alla Germania di lì a poco. Cercando di spiegare questo elemento di premonizione, Hofer scrisse più tardi: “L’artista è un sismografo spirituale che predice il disastro imminente. E questo non è avvenuto solo nel mio lavoro.”

Quando il suo studio venne distrutto dal fuoco nel 1943, la prima versione del quadro andò distrutta. Hofer cominciò subito a ridipingerla basandosi su una riproduzione fotografica. “Nel marzo del 1943 – ricorda il pittore – durante il più grave raid aereo su Berlino, il mio studio andò a fuoco insieme a tutti i quadri ed oggetti che mi collegavano al mio passato. Quattro giorni più tardi ero di nuovo davanti al cavalletto, nel mio appartamento, che tuttavia venne distrutto dal fuoco nel novembre dello stesso anno.”

In un ambiente da incubo, scabro e cupo, cui il titolo allude, quattro figure maschili si muovono incongruamente come fantasmi al ritmo di un tamburo percosso da un quinto uomo. L’atmosfera è opprimente: nessuna via d’uscita appare visibile, né del resto i quattro manifestano l’intenzione di cercarla. Ci appaiono come reclusi di un carcere le cui celle, chiuse all’esterno, si aprono tuttavia una sull’altra; finestre di differenti dimensioni aumentano il senso di inquietante intrappolamento. Completamente tagliati fuori dal mondo esterno, gli uomini qui reclusi ne sono diventati anonimi abitatori.

Una figura alta e scura si erge controluce sullo sfondo della finestra come a bloccarne la vista, in un atteggiamento che, come del resto quello degli altri, rivela un che di forzato. Posture e sguardi sembrano provenire da uno stato di trance, che rende ciascuno di questi uomini estraneo agli altri ed allo stesso tempo coinvolto in un comune destino, riguardo al quale il mesto “tamburino” sembra voler annunciare qualcosa di ancor più funesto.


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