Un paragone tra il dipinto di Gustav Klimt (1862-1918), "Il
bacio", e il dipinto di Egon Schiele (1890 - 1918) "Cardinale
e suora (Abbraccio)", 1912, olio su tela, 69,8x80,1 cm,
può rendere più di tante parole le contraddizioni
del periodo storico in cui le due opere si collocano, l'inizio
del '900, sospeso tra i fasti di una cultura mitteleuropea ormai
irrimediabilmente avviata ad una decadenza definitiva, e l'incalzare
dei nuovi movimenti espressionisti, già prepotentemente
introdotti in tutta la loro dirompente drammaticità dall'opera
di precursori quali Munch e Van Gogh.
Schiele fu allievo di Klimt e suo grande ammiratore, il che
non gli impedì di prendere da lui le distanze per guardare
alla sua opera con la disincantata lucidità di uno spirito
libero e ribelle, che con furore espressionista caricaturizza
la repressiva morale dell'epoca, ambiguamente aggirata da Klimt
con il suo linguaggio estetizzante, prezioso e raffinato, sottilmente
allusivo ma sostanzialmente rassicurante circa la funzione dell'arte
come mezzo per sublimare la realtà ed esorcizzare la
paura della fine.
Fondamentale tra i due e ben evidente nel dipinto in oggetto, è la differenza nell'uso
del colore, che in Klimt è subordinato alla forza del
segno che lo contorna, mentre in Schiele costruisce esso stesso
la figura con masse cromatiche pesanti e decise, rossi corposi
e neri densi, accordi audaci e contrastati instaurando
una serrata dialettica tra due opposta visioni del mondo:
ciò che in Schiele si traduce in tensione formale, ma
soprattutto erotica, esistenziale, morale, psicologica, per Klimt si stempera nella preziosità degli ori senza perdere mai di vista l'intenzione di produrre un'arte "bella".
L'uso di materiali molto densi e del pennello piuttosto asciutto
rendono la superficie del dipinto di Schiele ruvida e scabra, molto lontana
dalla levigatezza di Klimt, mentre le linee di contorno che
si spezzano in forme angolose sembrano cancellare definitivamente
la flessuosità liberty del disegno a favore di una
impostazione più vicina all'Espressionismo, che Schiele
interpretò liberamente in maniera originale e personale,
con tratto grafico e pittorico assolutamente singolare, un
segno forte ed essenziale, un colore intenso e materico.
Nello stesso periodo in cui opera Schiele, Freud è
a Vienna e diffonde le sue teorie psicanalitiche, Schonberg
sconvolge il mondo musicale con l'introduzione della musica
dodecafonica, Wittgenstein porta avanti le sue ricerche sul
linguaggio e molti altri intellettuali (Schnitzler, Zweig,
Musil, Berg, Webern, Weininger, Loos) rendono incandescente
il clima culturale, come non mai ricco di nuovi fermenti.
In questo contesto intellettualmente vivace ed innovativo, Schiele inserisce il suo messaggio di critica sociale contro l'ipocrisia della morale borghese e mostra senza falsi
pudori, in preda ad una sorta di impeto sacrilego, un erotismo scevro di moralismi, ma anche senza gioia, lucidamente consapevole
della aleatorietà dei rapporti umani, espresso in corpi
contratti e deformati in pose impossibili, in esibizioni al
limite della sgradevolezza (dice "..... è un delitto
porre dei vincoli ad un artista, significa uccidere una vita
nascente......" )
Il paragone mette in risalto sia la composta eleganza astrattizzante
di Klimt che la spregiudicata e nevrotica tragicità
di Schiele, al quale va sicuramente riconosciuta
la sincerità disarmante e autodistruttiva
con cui propone, attraverso i suoi personaggi, sé stesso
e la sua interiorità, senza orpelli, senza inutili
sovrapposizioni, nudo nell'anima come i corpi delle sue modelle
macilente, livide, "brutte", raffigurando una realtà
che può sconvolgere, scandalizzare, sconfinare nell'eccesso,
ma che è sincera espressione di un artista che, parafrasando
Hermann Hesse,"affonda le sue radici nei sensi",
come ogni vero talento.
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