Non da oggi affermiamo che la tradizione artistica maturata
nella provincia spezzina non è per nulla evanescente
e ciò è provato sia dalle pregevoli e continuative
testimonianze degli artisti locali, sia dallattività
espositiva, che ha coinvolto figure di primo piano dellarte
contemporanea.
Tra queste è doveroso ricordare, nel prossimo ventennale
della morte, lo scultore milanese Vittorio Tavernari (1919-1987),
che espose nel 1970 alla Spezia, alla Galleria Minotauro
di via don Minzoni. E stato Luca Bertoli, appassionato collezionista,
a suggerirmi questo breve ricordo che mi permette di entrare
nel denso vissuto dellaffermato scultore, studiato dalla
critica più qualificata (Francesco Arcangeli, Mario
de Micheli, Rodolfo Pallucchini, Carlo L.Ragghianti, Roberto
Tassi, ecc.) ed annoverato nelle pubblicazioni più
significative. Peraltro, la ricca bibliografia pubblicata
sul sito www.vittoriotavernari.it
consente di affrontare a tutto tondo la complessità
dellopera di Tavernari, i cui sviluppi iniziano nel
1919 nello studio di Francesco Wildt, avviando un esemplare
percorso, esaltato dalla prima personale nel 1948 alla galleria
del Milione a Milano e, in seguito, dalle ripetute partecipazioni
alla Biennale di Venezia nel 1956, nel 1958 e nel 1964 con
una propria sala e dallinvito ad esporre alla Biennale
di San Paolo del Brasile. Non poco significativa è
stata la sua presenza alla Triennale di Milano, alla Quadriennale
di Roma ed in altri innumerevoli eventi espositivi in Italia
e allestero, che lo hanno impegnato laboriosamente,
ancora nellanno della scomparsa avvenuta il 29 ottobre
1987
Tra i vari contributi critici mi piace segnalare quello di
Giovanni Carandente, che nel suo Dizionario della scultura
moderna (Edizione Il Saggiatore, 1967) assegna allopera
di Vittorio Tavernari «una silenziosa riservatezza,
attenta a ricostruire lunità morale e spirituale
della sua ricerca in un modo quasi religioso e sacrale».
Lo studioso riconosce limportanza che la figura umana
ha per lo scultore, «della quale egli traccia, nelle
sue forme, lessenzialità volumetrica, con profili
tesi e superfici ricche di vibrazioni che rivelano quanto
sia in lui struggente il desiderio di ricomporre una forma
organica, non naturalistica e tuttavia quasi melanconicamente
mistica, che divenga nuova e distaccata raffigurazione della
bellezza e del prestigio dellessere umano».
Trentanni dopo, Rossana Bossaglia, in un articolo sul
Corriere della Sera, recensendo la retrospettiva al Castello
di Masnago(Varese), non indugia ad attribuirgli un posto di
rilievo nella storia dellarte, rimarcando la straordinaria
coerenza della ricerca di Tavernari che «ebbe diverse
fasi creative, passando dalla figurazione giovanile, memore
di Arturo Martini, a un astrattismo di matrice cubista, quindi
a un esplicito informale, per tornare a una figurazione di
tono primitiveggiante, ma che mantiene una fisionomia personale
di precisa leggibilità».
Ovviamente, il profilo di Vittorio Tavernari risulta ancor
più significativo, affiancando la sua magistrale opera
a quelle di altri grandi maestri (Mirko, Leoncillo, Milani,ecc.),
con i quali egli ha intessuto amichevoli e costruttivi rapporti.
Come rilevato in premessa, questo sintetico omaggio alla
memoria di Vittorio Tavernari, corredato dalla riproduzione
di splendide opere, è ben poca cosa, ma confido che
invogli a conoscerne meglio la ricca testimonianza, diffusa
con successo nei vari decenni del secolo scorso.
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