L'inglese Paul Morrison (1966), nato a Liverpool
e londinese d'adozione, è noto per le sue straordinarie
sperimentazioni grafiche, wall paintings vagamente optical,
giocati sulla dicromia del contrasto bianco-nero, dove il tema
naturalistico ricorre con frequenza quasi ossessiva: la natura
di Morrison, però, non è quella della realtà,
ma quella, possibile, del sogno, innaturalmente giocata sulla
dicromia b/n, destabilizzante risultato interpretativo di piante,
alberi e fiori che non troviamo nei testi di botanica, ma che
hanno tuttavia una loro assurda credibilità, come queste
"Black Dahlias" eseguite nel 2004.
Stilisticamente, il linguaggio di Morrison echeggia con personale
declinazione le più moderne correnti artistiche, dall'action
painting al pop all'art brut dei graffitisti newyorkesi,
raggiungendo risultati del tutto originali, a metà
tra il complesso decorativismo di un astrattismo onirico e
il naturalismo di una pittura paesaggistica d'altri tempi,
nella macroscopica definizione di forme organiche dalla dimensione
fisica fuori scala.
Un linguaggio figurato da botanico popolare che non dimentica
le fonti classiche (Durer, Monet, Lichtenstein) e i riferimenti
metascientifici è il mezzo espressivo escogitato dall'artista
per innescare riflessioni più profonde sul rapporto
dell'uomo con l'ambiente che lo ospita, senza inutili drammatizzazioni,
ma con la consapevolezza dei propri limiti, prendendo coscienza
della propria impotenza davanti ad una natura che può
schiacciarlo.
Morrison elabora le sue immagini partendo da testi ed illustrazioni
scientifiche, utilizza un proiettore, altera le dimensioni,
definisce sul supporto ogni particolare a matita, poi riempie
le campiture con vernice nera: ed ecco che rocce, rami, radici,
alberi, cespugli e erbe stilizzati si intrecciano in un elegante
linguaggio grafico nello spazio rarefatto di un mondo dal
quale la figura umana è metodicamente esclusa.
Si tratta di un'assenza significativa carica di allusioni
simboliche, un mancato confronto tra uomo e natura che conferisce
un senso di disagio sottile a quel coreografico macrocosmo
vegetale, magicamente irreale nella sua dimensione fuori scala.
Il rapporto primordiale con la natura, infatti, rimaneggiato
e deformato dall'intervento dell'artista, "snaturato"
dalla privazione del colore e dall'alterazione dimensionale,
carica di significati inediti e quasi minacciosi forme e scenari
familiari ed obbliga ad uno stupefatto senso di timore e rispetto
verso la natura e le sue manifestazioni.
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