Questa opera, "Trowel I" , del 1971-76,
in ferro dipinto con smalti poliuretanici, come tante altre
opere della Pop Art americana è tridimensionale e propone in termini scultorei
un oggetto d'uso comune utilizzato in chiave newdada secondo
un'operazione di decontestualizzazione tipica di questo movimento.
Ne è autore Claes Oldenburg, che nasce in Svezia (1929), studia
dapprima nel suo paese d'origine, poi si trasferisce negli Stati
Uniti dove completa i suoi studi: probabilmente per questo suo
duplice punto di vista dal quale si confronta con la realtà dell'urbanesimo e
dell'industrializzazione della società americana, conserva
nei confronti di quest'ultima un atteggiamento di accettazione più
curioso e divertito che inorridito, derivandone un discorso
artistico che, proprio per questo, risulta del tutto particolare nell'ambito della cultura pop.
Oldenburg inizia la sua attività come artista tradizionale,
ma ben presto, siamo nel 1959, comincia ad interessarsi a
nuove forme espressive, nella scia, appunto, della nascente Pop Art,
utilizzando per le sue opere materiali di scarto, fino a definire
il suo personale linguaggio di costruttore di oggetti: dapprima
realizza semplici riproduzioni stereotipate di oggetti comuni,
o anche di cibi mummificati simili a quelli in esposizione
nelle vetrine, poi passa a realizzare versioni ingrandite
degli oggetti reali, che proprio nella loro dimensione fuori
scala trovano la loro peculiare originalità.
L'artista inizia poi una proficua collaborazione, andata avanti per anni, con la moglie Coosje van Bruggen (1942-2009), specie per
ciò che riguarda la serie dei large-scale projects,
opere per gli spazi urbani, spesso su committenza pubblica,
sculture monumentali in scala architettonica, felice contaminazione tra land art e public art.
Non è casuale la collaborazione con l'amico Frank O. Gehry, nota archistar, con il quale realizza, nel 1988, il Chiat-Day-Mojo a Venice, perseguendo il concetto di un’arte in funzione sociale, trait-d'union tra individuo e collettività, tra privato e pubblico, nel nome dell'intercomunicazione tra arte visiva e realizzazione architettonica.
"Trowel I" è un monumento all'aria aperta,
insolito, incongruo, che, come nell'intenzione dell'artista,
obbliga ad un riesame del mondo che ci circonda e degli oggetti
quotidiani che lo popolano, proposti da un punto di vista
assolutamente innovativo: sfuma lo scopo dissacratorio, tipico
del Dadaismo, si manifesta l'intento di attribuire all'oggetto
una dignità formale e culturale, di trasformarlo in
prodotto artistico attraverso lo straniamento indotto dal
sovradimensionamento e dalla non pertinenza tra il tema ed
il suo contesto.
Dice Oldenburg: "Sono per un'arte che sia politoco-erotica,
mistica, che faccia qualcosa d'altro che stare sul suo sostegno
in un museo.", riprendendo con spirito nuovo il concetto
base della poetica dada da cui la Pop Art discende.
Tuttavia
la straordinaria vitalità ed la potente forza d'urto
delle sue opere, derivate da una personale interpretazione
dell'oggetto mostruosamente ingrandito e spesso grottescamente
esasperato dalla violenza del colore, talvolta costruito con
materiali incongrui, costituiscono un tratto del tutto originale
nel panorama della Pop Art, così come la scelta del
soggetto-oggetto, che esula in genere da quelli che tradizionalmente
si potrebbero considerare degni dell'attenzione di un artista
e di uno scultore.
Dal contrasto fra temi comuni e banali e la loro rappresentazione
in un linguaggio aulico, monumentale, macroscopico e a volte ironicamente
celebrativo scaturisce il fascino delle opere di Oldenburg,
del suo universo immaginario che diviene segno e riferimento
urbano al di fuori dei codici tradizionali dell'arte.
* articolo aggiornato il 2/03/2014
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Mollette e cetrioli
Anche l'urbanistica non è più quella di una volta!
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