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Joan Miro', "La poetessa"
di Vilma Torselli
pubblicato il 30/04/2007
Metafisico bisogno di astrazione ed un mai dimenticato amore per la materia, i due poli fra i quali oscilla la poetica di un grande surrealista.
Il Surrealismo, che in parte si struttura per reazione al sostanziale nichilismo della dottrina dadaista per la quale il mondo era contingente e privo di valore, è dominato da figure di grande carisma, dovuto anche al carattere metafisico della stessa poetica surrealista: Giorgio De Chirico, indiscusso precursore del Surrealismo, dice che era necessario "creare una nuova psicologia metafisica delle cose", e si può dire che tutto il movimento converga, con una certa omogeneità, sull'indagine degli aspetti segreti e inconsci della natura umana e sulla ricerca dei mezzi formali più adatti ad esprimerli.

E' possibile notare come alcuni degli artisti più rappresentativi del Surrealismo, come Salvador Dalì o René Magritte, utilizzino una tecnica sostanzialmente accademica, in rifiuto di molte scoperte del periodo precedente, il che si spiega con una necessità didascalica talmente predominante da indurre all'utilizzo di un linguaggio il più possibile leggibile e chiaro: Magritte, ad esempio, resterà per tutta la sua carriera sostanzialmente inerte, legato ad un suo stile pressoché immutato nel tempo, mentre l'intero movimento surrealista cercherà di uniformarsi ed adeguarsi, con risultati non sempre brillanti, agli eventi politici, specie quelli concernenti la Russia, con una svolta verso sinistra più demagogica che effettiva, restando in realtà una corrente sostenuta da una ristretta elite intellettuale.

Non è così per Joan Miro' (1893-1983), uno dei personaggi più rimarchevoli, innovativi ed originali del Surrealismo, dalla cultura complessa memore della ricerca spaziale del Cubismo, delle soluzioni cromatiche dei Fauves, della tecnica del collage, dell'assemblage e del Dadaismo, delle sue radici culturali e regionali catalane, delle architetture moderniste del conterraneo Antonio Gaudì, elementi tutti che lo portano, nella maturità della sua carriera, a sviluppare un modo di dipingere che è piuttosto un modo di scrivere, nel quale forme primarie emblematiche si allineano sulla tela come una serie di geroglifici.
A questo proposito dice Alessandro Tempi"......il processo di semplificazione formale della sua pittura risponde ad un’esigenza di trovare in se stesso sempre nuove ragioni per la pittura stessa, di penetrare sempre più a fondo, come dirà Rafael Alberti, nel "segreto della parola dipinta" (da "NEXT", Edizioni Joyce and Co.,Roma,n.32-33,1995).

L'impronta iniziale dell'opera di Miro' è plastica, fatta di linee sinuose, rappresentazione in chiave organica di elementi naturali e scene della vita comune, per dirigersi progressivamente verso una semplificazione che giunge all'Astrattismo lirico, al suo personale Surrealismo fatto di linee leggere, campiture di colore piatte su sfondi omogenei, forme prive di volume, fantastiche, di rara suggestione espressiva.

Il tono fantastico, la rilettura fiabesca di una realtà idealizzata declina verso il grottesco , con drammatiche deformazioni di tono espressionista in occasione della guerra civile spagnola, e il segno si fa più nervoso, il colore si incupisce accogliendo rossi violenti, neri, verdi, finchè, verso gli anni '40, Miro' elabora un nuovo linguaggio di impronta calligrafica, vicino alla pittografia ispirata agli ideogrammi cinesi tipica di certo informale europeo ed americano (Capogrossi, Kline, Gottlieb, Tobey), realizzando una serie di gouaches, di cui uno è questa "La poetessa", del 1940, 15 x 18 cm.
La consistenza segnica si assottiglia, assumendo un carattere eminentemente grafico, lo sfondo diventa spazio rarefatto in cui si librano armoniosi elementi filiformi, leggeri, un universo della surrealtà, magico, trasparente, onirico, di marcato simbolismo allucinatorio.

Per tutta la sua vita, Miro' opera a cavallo tra questo metafisico bisogno di astrazione e un mai dimenticato amore per la materia, non a caso si dedica con passione alla ceramica, alla scultura, all'arazzo, seguendo una sua ricerca verso l'aspetto tattile dell'opera, risalente alla sua primitiva formazione didattica e all'influenza di un maestro straordinario quale Francesco Galí, artista e critico d'arte, che insegnò al suo eccezionale allievo ad indagare la forma attraverso il tatto delle dita e a disegnare ciò che, così, aveva "visto".
Il rapporto carnale e sensuale con la materia, il legame istintuale con la sua terra, con Barcellona, il confronto con i modelli della primitiva tradizione artistica non solo spagnola sono gli elementi che Miro' supera, senza dimenticarli, nel suo surrealismo fantastico intriso di lirismo perchè, dice "bisogna superare il dato plastico per giungere alla poesia", ed entrare nel mondo fiabesco dove il desiderio e la realtà si incontrano e si identificano.

link:
Joan Miro', "Il Carnevale di Arlecchino"

Liberare lo sguardo: Joan Mirò
Torino, "Miró! Sogno e colore"


DE ARCHITECTURA
di Pietro Pagliardini


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