Volendo classificare Chaim Soutine (1893-1943)
in una corrente artistica, si dovrebbe scegliere l'Espressionismo,
anche se, in realtà, come Modigliani o Viani, Soutine
fu sostanzialmente un indipendente, un solitario, impermeabile
ad influenze esterne, fuori da ogni movimento organizzato, fedele
solo a sè stesso.
Soutine, ebreo russo, giunge a Parigi, dicasettenne, nel 1911
dalla natia Lituania e si trova al centro di un mondo in grande
fermento culturale, dove l'Impressionismo ha cambiato le regole
del fare arte, dove ogni avventura intellettuale appare possibile
e realizzabile, dove la frequentazione di un gruppo di pittori
ebrei, accomunati non solo da affini ideali artistici, ma anche
da una coscienza di esiliati venata di malinconia, lo conforta
e lo indirizza nella sua attività artistica: con Modigliani,
Chaim Soutine rappresenterà in seguito l'espressione
più tipica della cosiddetta "Scuola di Parigi".
Determinante si rivela l'incontro con il conterraneo Marc
Chagall e il suo mondo magico e fantastico, dove sfumano i
parametri spazio-temporali e i colori si dispiegano liberamente
ed arbitrariamente secondo la logica soggettiva di un artista
affabulatore dotato di straordinaria capacità immaginativa. La stessa che Soutine, nel quale prevale invece una visione
del mondo intensamente drammatica, riversa impetuosamente
in allucinati paesaggi, tragiche figure, cupe nature morte
con carcasse di animali squartati.
Di Chagall, Soutine coglie la vivace e violenta versione cromatica
e la capacità di esternare la propria interiorità
emotiva in modo assolutamente disinibito, personale ed autonomo,
definendo poi ed affinando il suo linguaggio formale anche
attraverso lo studio delle opere di Van Gogh, nel quale si
identifica per una peculiare poetica dell'angoscia: Soutine
fu infatti personalità difficile, asociale, introversa,
incline alla depressione, spesso sull'orlo del suicidio, definito
dai suoi amici un selvaggio poco avvezzo all'uso delle posate
ed alla pulizia personale.
Il violento pathos espressionista che si sprigiona dalle
opere di Vincent, l'esplosività dei colori, l'angoscia,
il tormento dell'animo che quelle tele trasudano fungono
da catalizzatore e spingono Soutine a strutturare in modo
sempre più libero un linguaggio artistico fatto
di linee tese e contorte, colori guizzanti in inaspettate
accensioni e violenti contrasti di luce, schemi compositivi
di grande dinamismo, seppure nei termini di immagini sostanzialmente
raffinate, talvolta ossessivamente ripetute nella forma e
nel tema (anche il groom ebbe più versioni).
Cosicché la distorsione della forma, ben evidente nel
quadro presentato, che risente anche dello studio appassionato
della pittura di El Greco, di Rembrand, di Toulouse-Lautrec,
nulla toglie alla sostanziale figuratività delle opere
di Soutine, poichè, come afferma De Kooning, egli distorce
la figura, ma non la persona.
In questo enigmatico "Ragazzo dell'ascensore"("Le
Groom", 1927, cm 98x80cm, la scelta del particolare soggetto
rimane oscura), ciò che più acutamente colpisce
non è il tema, per quanto originale, nè l'insolito
aspetto del soggetto rappresentato, ma la modalità
dell'esecuzione, l'utilizzo che l'artista fa della pittura,
del colore, della pennellata nervosa e contorta per comunicare
la propria angoscia, la bruciante tensione interiore, l'esasperata
soggettività del sentire, che sarà il tema dominante
di tutta la pittura seguente all'Espressionismo.
Se paragoniamo questo dipinto a "La desserte" di
Matisse , che pure fu il rappresentante più celebre
dei Fauves, le bestie selvagge, vediamo facilmente come la
violenza del colore, in entrambi i casi il rosso, ottenga
risultati profondamente diversi, mancando del tutto, nella
composta calma edonistica del dipinto di Matisse, la forza
emotiva che, con tanta prepotenza, promana dall'opera di Soutine,
che qui porta alle conseguenze estreme l'uso del colore come
mezzo per esprimere il sentire soggettivo e stabilire così
un contatto a livello emotivo con il mondo esterno.
* articolo aggiornato il 12/04/2013
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