"Camminavo lungo la strada con due amici
quando il sole tramontò, il cielo si tinse allimprovviso
di rosso sangue mi fermai, mi appoggiai stanco morto a un recinto
sul fiordo nerazzurro e sulla città cerano sangue
e lingue di fuoco i miei amici continuavano a camminare e io
tremavo ancora di paura e sentivo che un grande urlo infinito
pervadeva la natura".
Così scriveva Edvard Munch (1863-1944) nel 1892, raccontando nel
suo diario, con uno spunto decisamente autobiografico, una
sofferta esperienza privata, egli stesso dicendo :"Dipingo
non quello che vedo ma quello che ho visto".
Munch, norvegese, con un vissuto personale di particolare
tragicità (dirà:"Le malattie, la pazzia
e la morte furono gli angeli neri che vegliarono sopra la
mia culla e mi accompagnarono fin dall'infanzia") dà
l'avvio a quella poetica dell'angoscia che percorre tutta
l'arte di quel paese in quel periodo, da lui espressa in un
linguaggio spesso affannosamente ansioso tanto da risultare
incompleto e per certi versi impenetrabile all'analisi dei
critici contemporanei, anche se Christian Krohg, pittore naturalista
amico e sostenitore di Munch dice delle sue opere : "Oh,
si! Sono complete. Uscite dalla sua mano. L'arte è
completa quando l' artista ha detto tutto quello che doveve
dire veramente; e questo è il vantaggio che Munch ha
su generazioni di pittori, ha l' abilità unica di mostrarci
cosa ha provato e cosa lo tormentava, facendo sembrare tutto
il resto senza importanza."
"Il grido", eseguito nel 1885, il più celebre
quadro di Munch ed uno dei più drammatici di tutta
l'arte moderna, di chiara lettura figurativa seppure assolutamente
antinaturalistico, si presta ad una interpretazione psicologica
del segno contorto e tormentato che coincide, nella sua componente formale, con il drammatico contenuto narrativo della raffigurazione: un uomo fisicamente
stravolto nelle sembianze da un terrore cieco che lo sconvolge
interiormente esprime attraverso chiari riferimenti simbolici
la solitudine individuale (la figura isolata in primo piano),
la difficoltà di vivere e la paura del futuro (il ponte
da attraversare), la vanità e la superficialità
dei rapporti umani (le due figure sullo sfondo, amici incuranti
che continuano a camminare), dilatando l'esperienza individuale
fino a compenetrarla nel dramma collettivo dell'umanità
e cosmico della natura.
L'artista ferma sulla tela un suo momento disperato dipingendo
"Il grido" (o "L'urlo"), del quale negli
anni seguenti realizza altre versioni: il dipinto faceva parte
di una complessa narrazione ciclica, "Il fregio della
vita" (1893/1918), un gruppo di opere, ciascuna peraltro
autosufficiente, sul tema del ciclo vita, morte e amore ("Il
grido", "Il bacio", "Gli occhi negli occhi",
"Vampiro", "Danza della vita").
Con quel grido Munch vuol dare voce alla disperazione del
suo animo e del suo tempo, raffigurando con gelida spietatezza
la condizione esistenziale del '900 in uno stile pittorico
crudo e inquietante.
La rappresentazione pone in primo piano luomo che urla,
l'artista stesso, un corpo lontano da ogni naturalismo, con
la testa completamente calva come un teschio, gli occhi-orbite
dallo sguardo allucinato e terrorizzato, il naso appena accennato
nelle narici, la cavità della bocca aperta, vero centro
compositivo dell'opera, dalla quale si dipartono le onde sonore
del grido, una serie di pennellate sinuose che innestano in
tutto il quadro un movimento concentrico, come cerchi nell'acqua,
che contagia la natura circostante, il paesaggio, il cielo,
trascinandoli in un gorgo di irresisitbile potenza dove tutto
si annichilisce.
La spinta dinamica del movimento ad onda domina l'insieme,
incombendo sulla figura, sulla natura, definendo con tratti
concitati la tipica deformazione espressionista che, premendo
sulla forma, vuol farne sgorgare e liberare l'angoscia interiore,
fecendola esplodere con un grido liberatorio.
La figura in primo piano è tagliata in diagonale dalla
linea del parapetto del ponte, di scorcio sulla sinistra,
sul quale si allontanano le figure di sfondo, mentre sulla
destra è raffigurato un paesaggio irreale e desolato,
un gorgo d'acqua sopra il quale un cielo innaturalmente striato
di rosso riprende lo stesso andamento ondulato.
In antitesi con la contemporanea corrente impressionista,
di lirico naturalismo e gioioso cromatismo, l'opera di Munch,
al contrario, non si proietta verso il mondo esterno, verso
la natura, ma si rivolge all'inconscio, ripiegandosi su un'interiorità
della quale scopre tutta la incontrollabile violenza emotiva.
Nella rappresentazione che Munch fa della scena non cè
alcun elemento che induca a credere alla funzione liberatoria
e consolatoria dell'urlo, che resta solo un grido muto, inavvertito
dagli altri, dolore pietrificato che vorrebbe uscire dal profondo
dell'animo, senza mai riuscirci.
I temi dominanti, il dolore, la sofferenza di vivere, l'angoscia
di guardarsi dentro, la disperazione dell'uomo e della natura,
sono aspetti che definiranno da lì a poco la poetica
dell'Espressionismo tedesco ed austriaco ed anticipano anche
ciò che essi mutueranno dal Simbolismo.
Infatti Munch, che con questo quadro ottenne subito uno straordinario
successo di pubblico, fu anche molto apprezzato, con la stima
che si deve ad un riconosciuto precursore, da un gruppo di
giovani artisti tedeschi , Ludwig Kirchner, Erich Heckel e
Karl Schmidt-Rottluf che nel 1902 videro la sua personale
di Berlino e tre anni dopo costituirono Die Brücke (Il
ponte), consacrando Munch vero fondatore di tutte le correnti
di ispirazione espressionista che, a partire dalle avanguardie
storiche di inizio secolo, hanno attraversato l'arte moderna
fino ai nostri giorni.
* articolo aggiornato il 14/10/2012
link:
Edvard Munch - "Il grido"
Un norvegese è il padre spirituale dell'Espressionismo europeo
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