Vincent Van Gogh (1853 - 1890) esegue questo
"Caffè di notte", un olio su tela di 80 x 60
cm, oggi alla Art Gallery dell'Università di Yale di
New Haven, nel 1888, poco prima della sua morte, che avverrà
due anni dopo, quando ormai il tormentato viaggio della sua
esistenza è giunto ad un punto di non ritorno: nel 1889
egli si farà infatti ricoverare volontariamente nella
clinica per pazienti psichiatrici di Saint-Rémy in Provenza,
incapace di contrastare quel profondo ed acuto malessere interiore
che da lì a poco lo porterà al suicidio a soli
37 anni.
Il caffè di notte, un locale in Place Lamartine ad
Arles, è un ambiente chiuso, privo di finestre, dove
l'illuminazione artificiale è affidata ad un gruppo
di lampade a soffitto che spargono attorno una luce giallastra.
I colori della stanza sono violenti e contrastanti - l'artista
li definisce in lotta tra di loro - rossi accesi, verdi acidi
in più tonalità, con una generale predominanza
di giallo, quel 'giallo van Gogh' che colorava ossessivamente
il suo mondo a causa di una percezione anomala del colore
dovuta all'assunzione di digitale per contrastare gli attacchi
epilettici: l'intossicazione cronica era infatti accompagnata
da una patologia, la xantopsia, in grado di compromettere
le normali percezioni sensoriali e produrre la visione gialla
degli oggetti bianchi e la visione violetta degli oggetti
scuri, alterazioni ben visibili in un dipinto eseguito poco
tempo prima di questo, "Il seminatore".
Scrive Vincent al fratello Theo a proposito di questo quadro:
"Ho cercato di esprimere con il rosso e il verde
le terribili passioni umane. La sala è rosso sangue
e giallo opaco, un biliardo verde in mezzo, quattro lampade
giallo limone a irradiazione arancione e verde. C'è
dappertutto una lotta e un'antitesi dei più diversi
verdi e rossi, nei piccoli personaggi di furfanti dormienti,
nella sala triste e vuota, e del violetto contro il blu".
Le regole prospettiche, ben note a van Gogh, abile e colto
disegnatore, sono volontariamente trasgredite, con l'effetto
di destabilizzazione delle normali percezioni spaziali che
caratterizza i suoi interni rendendoli sottilmente angoscianti,
protagonista muto ed immobile della scena, il tavolo da
biliardo occupa il centro della composizione, non ci sono
giocatori, attorno c'è uno spazio vuoto ("la
sala è triste e vuota"), metafora della
solitudine delle cose che - perché no? - hanno anch'esse
un'anima e possono esprimere, se non provare, la sofferenza
e l'emarginazione di chi le osserva.
Anche questa volta, Vincent riflette al di fuori di sè,
nella realtà del quotidiano, la sua sofferenza, per
guardarsi, per capirsi, per rinunciare poi a farlo e mettere
tragicamente fine alla sua sofferta ricerca.
Con taglio modernamente fotografico, le immagini di tavoli,
sedie e annoiati avventori ("piccoli personaggi
di furfanti dormienti") sono interrotte ai bordi
della tela, quasi che una forza centrifuga le spinga fuori
dal dipinto per fare il vuoto attorno al protagonista, le
doghe del pavimento canalizzano lo sguardo sull'unica apertura
verso l'esterno da cui proviene una luce radente, mentre
i lampioni appesi ("quattro lampade giallo limone")
introducono dall'alto una seconda fonte luminosa che sottolinea
i contorni degli oggetti e le loro superfici orizzontali
proiettando sul pavimento l'ombra del biliardo, l'unico
oggetto dotato di ombra, leggermente ruotata rispetto alla
direzione prospettica principale: attingendo al suo bagaglio
culturale, Vincent elabora questo espediente della luce
pluridirezionale dalla cultura classica (ricordando Caravaggio
e Delacoix) e lo utilizza per movimentare drammaticamente
la rappresentazione.
L'atmosfera densa e inquinata - di fumo? di calore? di vapori
di alcool?, ricordiamo che van Gogh definisce il caffè
come "un luogo in cui ci si può rovinare"
o diventare pazzi o criminali - disegna attorno alle lampade
un alone pesante dalla forma globulare che non ha nulla della
lievità della luce dei contemporanei impressionisti,
un contorno solido, denso, che ricorda da vicino gli astri
rotanti dei celebri cieli stellati, dove lo spazio ha consistenza,
corposità, vigore ed una matericità assolutamente
antinaturalistica ed il vuoto è inteso non già
come assenza di materia, ma come esso stesso elemento concreto
della rappresentazione.
Ancora una volta lo spazio interno, anche quello di un tranquillo
caffè di notte, visto attraverso gli occhi di un artista
visionario alla disperata ricerca di sé stesso, diventa
metafora di un inconciliabile contrasto tra realtà
esterna ed interiorità spirituale, custode di un'angoscia
incontenibile che, da lì a poco, traboccherà
oltre i limiti della ragione.
link:
Espressionismo
Vincent Van Gogh, "Autoritratto"
Vincent Van Gogh, "I mangiatori di patate"
Vincent Van Gogh, "La camera da letto di Arles"
Vincent Van Gogh e Antonin Artaud, l'incontro di due follie
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