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Vincent Van Gogh, "La camera da letto di Arles"
di Vilma Torselli
pubblicato il 1/05/2007
Lo spazio ambientale come espressione dell'interiorità psicologica, di aspettative deluse, di incapacità di rapporti umani, di solitudine, di fatica di vivere.
"..... è semplicemente la mia camera da letto, solo che qui il colore deve fare tutto, e poiché con il suo effetto semplificante conferisce maggiore stile alle cose, esso dovrà suggerire riposo o sonno in generale. In una parola, guardare il quadro deve far riposare il cervello, o piuttosto l'immaginazione ..... Questo come una sorta di vendetta per il riposo forzato al quale sono stato obbligato." (lettera 554 al fratello Theo)

Dipinto tra i più famosi di Vincent Van Gogh (1853-1890), "La camera da letto di Arles" del 1888, olio su tela di 72X90 cm oggi esposto al Rijksmuseum Van Gogh di Amsterdam, è stato realizzato in cinque versioni (due eseguite durante un volontario ricovero nel manicomio di Saint-Rémy), probabilmente perchè lo stesso artista attribuiva molta importanza al tema e voleva raggiungere assolutamente i risultati che aveva in mente, conferma fornita anche dai numerosi schizzi preparatori e da una dettagliatissima descrizione del progetto e addirittura della cornice che avrebbe dovuto contenere l'opera compiuta.
Esistono numerosi studi per determinare l'esatta datazione e la cronologia dei dipinti eseguiti, pare comunque che la copia conservata al Rijksmuseum Van Gogh ad Amsterdam sia l'originale da cui l'artista trasse le successive versioni, datata con estrema precisione, 17 Ottobre 1888, poichè in una lettera scritta quel giorno egli stesso dichiara "....... questo pomeriggio ho finito la tela che raffigura la camera da letto."

Già in fase di progetto, in una lettera al fratello Theo, Vincent fornisce molte e precise informazioni circa i colori che intende utilizzare per realizzare il dipinto, rosso, verde, giallo, viola, blu e arancio, mischiati fra loro e combinati secondo gli audaci accostamenti antinaturalistici che gli sono propri, con profusione di gialli e di violetti, i colori di una realtà assurda travisata dalla xantopsia e dall'immaginazione malata.

L'ambiente, un locale della "Casa Gialla" di Arles, piccolo edificio su due piani dove l'artista allora viveva e dove andrà a vivere anche Gauguin, è estremamente informale e naturale, con i tratti di una normale quotidianità, un letto rifatto, la finestra semiaperta, un tavolino da toilette con oggetti per la cura personale, lo specchio, l'asciugamano, una sedia accostata al letto, forse come comodino d'emergenza, quadri casualmente disposti, i ritratti degli amici Boch e Milliet appesi alla parete in equilibrio precario.

La minuziosa messa in scena, gli accurati dettagli, l'insieme molto spontaneo ma al tempo stesso sapientemente orchestrato, contrastano con la voluta trasgressione alle regole della prospettiva, che peraltro Van Gogh conosceva molto bene per averle studiate anche attraverso le opere di Leonardo da Vinci e Dürer : contrariamente ad ogni norma prospettica, qui l'effetto ad imbuto, ottenuto guardando la scena da un angolo di ampiezza visiva innaturale, con risultato contrario al grandangolo, risucchia lo spazio verso il fondo, evidenziando il primo piano costituito dalla spalliera del letto, del tutto sproporzionata, presenza incombente che sbarra con la sua preminenza l'accesso allo spazio posteriore.
Ed è proprio lì che si coagula il significato del dipinto e lo spazio ambientale si identifica con l'interiorità psicologica dell'artista, in quell'ordinato interno domestico che egli elegge a protettivo custode della propria intimità: è un interno semplice e quieto, quello che Van Gogh vuole dipingere, un'oasi di pace, di calma, di silenzio, e realizza invece un quadro che urla il suo disagio, il suo doloroso confronto con una realtà che lo rifiuta e che egli rifiuta.
Il giallo solare e l'azzurro-violetto delicato e luminoso che costituiscono le tonalità cromatiche dominanti non riescono a rallegrare un ambiente che resta sostanzialmente claustrofobico, dove lo sguardo dell'osservatore è convogliato verso una finestra con le persiane chiuse, da cui nulla trapela della realtà esterna.
La forzata impostazione prospettica, che deforma con anticipazione espressionista lo spazio e gli oggetti, crea un angoscioso senso di instabilità, sia per la mancanza di una direttrice unica del punto di vista, sia per marcate incongruenze dimensionali tra gli elementi presenti, fra i quali le due sedie vuote acquisiscono un profondo significato simbolico, metafora dell'attesa e dell'assenza, inconscio invito a sedersi rivolto ad un ospite che non c'è.

E' così che la casa di Vincent parla dell'anima di Vincent, di aspirazioni semplici eppure irrealizzabili, di aspettative deluse, di incapacità di rapporti umani, di solitudine psicologica, di quella fatica di vivere alla quale egli porrà fine in un assolato pomeriggio di luglio, in cui si sparerà un colpo di pistola al petto, morendone due giorni dopo.

link:
Espressionismo
Vincent Van Gogh, "Autoritratto"
Vincent van Gogh, "Caffè di notte"
Vincent Van Gogh, "I mangiatori di patate"

Vincent Van Gogh e Antonin Artaud, l'incontro di due follie
I colori di Vincent


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