L'opera di Richard Hamilton (1922-2011) nell'ambito del movimento
pop inglese è paragonabile a quella svolta in America
da Jasper Johns e Robert Rauschenberg, avendo egli in comune
con questi due pittori statunitensi una particolare predilezione
per il Dadaismo, tanto da divenire grande amico di Marcel Duchamp (curò la ricostruzione del suo Le Grand Verre, per la
retrospettiva alla Tate Gallery), anche se una sua personale
tensione verso l'impegno sociale mitigò in parte l'ironia
dissacratoria e un po' snob del suo illustre riferimento francese.
Con un ristretto gruppo di amici, tra cui lo scultore Paolozzi
ed il critico Lawrence Alloway, Hamilton forma una piccola
associazione, l'Independent Group, avente come scopo
lo studio della cultura popolare e del consumo di oggetti
d'uso comune proposti dalla pubblicità, alla ricerca
del potere evocatore di un fenomeno moderno, il consumismo, appunto, molto diffuso
e potente: da lì, nel 1958, nasce ufficialmente, con
un termine scaturito dalla fantasia di Alloway, la Pop
Art (acronimo del binomio popular art).
Hamilton è autodidatta, segue liberamente corsi
serali di arte, lavora nel campo della pubblicità
(come Andy Warhol), in seguito insegna design,
perfezionando così la sua tendenza pragmatistica
che lo porta sempre a risolvere i problemi sul campo, mano
a mano che si presentano, inducendo il critico inglese Richard
Morphet ad affermare che "la sua fedeltà
alla purezza dello stile gli impediva di determinare a priori
il carattere dell'opera".
La sua consapevolezza, la caratteristica ricercatezza stilistica,
la minuziosità dei commenti alle sue stesse opere,
lo distinguono in modo determinante dai colleghi americani,
e anche se Hamilton utilizza molto materiale della pop art
statunitense, lo fa con un certo distacco tutto europeo, usandolo
senza identificarvisi.
"She", del 1958-61, 181,9x81,3 cm, oggi alla
Tate Gallery di Londra, è compilato con una serie
di elementi desunti da vari generi di annunci pubblicitari
di oggetti comuni, fredde superfici igieniche, frigorifero, tostapane, aspirapolvere, la foto di una pin-up di Esquire, una 'lei' suggerita da un sex-dress che diventa grembiule e un capezzolo che si materializza ironicamente in cucina: in modo soft si insinua il concetto della reificazione dei corpo femminile, oggetto di consumo monetizzabile, non a caso il titolo originale dell'opera prevede che la S iniziale sia scritta come il simbolo del dollaro, $he.
Il tutto è qui amalgamato con un senso ironico della composizione
che non esclude quello nostalgico, una patinatura di sentimentalismo che mitiga l'aggressività del linguaggio rispetto
alla pop art americana e costituisce il sottile fascino
delle opere di Hamilton.
Di quest'opera in particolare egli dice: "Negli
anni '50 la rappresentazione artistica della donna era anacronistica....opulenta,
puntellata di rosa, puntata con spilli, lasciva..... ma
la sua sessualità non è che un'astuta recitazione.....A
giudicare dai manifesti, la cosa peggiore che può
capitare a una ragazza è di sentirsi perfettamente
a suo agio nella sua funzione accessoriale.......Il sesso
è ovunque simbolizzato nel fascino della lussuosa
produzione di massa: gioco di plastica carnosa e metallo
liscio e ancor più carnoso."
Come accade spesso per Hamilton, l'opera è il risultato
di un'idea complessa, una costruzione che richiede talvolta
chiarimenti verbali che il suo autore peraltro non lesina
(questo dipinto è oggetto di una lunga dissertazione),
in presenza di una capacità comunicativa piuttosto
raffinata e meno immediata di quella del pop americano,
che cerca l'occasione di esprimere, nell'oggetto inanimato,
qualcosa di vicino al carattere umano.
*articolo aggiornato il 10/06/2012
|