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Richard Hamilton, "She"
di Vilma Torselli
pubblicato il 2/05/2007
Il linguaggio colto della Pop Art inglese nell'opera del più rappresentativo artista di questa corrente.
L'opera di Richard Hamilton (1922-2011) nell'ambito del movimento pop inglese è paragonabile a quella svolta in America da Jasper Johns e Robert Rauschenberg, avendo egli in comune con questi due pittori statunitensi una particolare predilezione per il Dadaismo, tanto da divenire grande amico di Marcel Duchamp (curò la ricostruzione del suo Le Grand Verre, per la retrospettiva alla Tate Gallery), anche se una sua personale tensione verso l'impegno sociale mitigò in parte l'ironia dissacratoria e un po' snob del suo illustre riferimento francese.
Con un ristretto gruppo di amici, tra cui lo scultore Paolozzi ed il critico Lawrence Alloway, Hamilton forma una piccola associazione, l'Independent Group, avente come scopo lo studio della cultura popolare e del consumo di oggetti d'uso comune proposti dalla pubblicità, alla ricerca del potere evocatore di un fenomeno moderno, il consumismo, appunto, molto diffuso e potente: da lì, nel 1958, nasce ufficialmente, con un termine scaturito dalla fantasia di Alloway, la Pop Art (acronimo del binomio popular art).

Hamilton è autodidatta, segue liberamente corsi serali di arte, lavora nel campo della pubblicità (come Andy Warhol), in seguito insegna design, perfezionando così la sua tendenza pragmatistica che lo porta sempre a risolvere i problemi sul campo, mano a mano che si presentano, inducendo il critico inglese Richard Morphet ad affermare che "la sua fedeltà alla purezza dello stile gli impediva di determinare a priori il carattere dell'opera".
La sua consapevolezza, la caratteristica ricercatezza stilistica, la minuziosità dei commenti alle sue stesse opere, lo distinguono in modo determinante dai colleghi americani, e anche se Hamilton utilizza molto materiale della pop art statunitense, lo fa con un certo distacco tutto europeo, usandolo senza identificarvisi.

"She", del 1958-61, 181,9x81,3 cm, oggi alla Tate Gallery di Londra, è compilato con una serie di elementi desunti da vari generi di annunci pubblicitari di oggetti comuni, fredde superfici igieniche, frigorifero, tostapane, aspirapolvere, la foto di una pin-up di Esquire, una 'lei' suggerita da un sex-dress che diventa grembiule e un capezzolo che si materializza ironicamente in cucina: in modo soft si insinua il concetto della reificazione dei corpo femminile, oggetto di consumo monetizzabile, non a caso il titolo originale dell'opera prevede che la S iniziale sia scritta come il simbolo del dollaro, $he.
Il tutto è qui amalgamato con un senso ironico della composizione che non esclude quello nostalgico, una patinatura di sentimentalismo che mitiga l'aggressività del linguaggio rispetto alla pop art americana e costituisce il sottile fascino delle opere di Hamilton.

Di quest'opera in particolare egli dice: "Negli anni '50 la rappresentazione artistica della donna era anacronistica....opulenta, puntellata di rosa, puntata con spilli, lasciva..... ma la sua sessualità non è che un'astuta recitazione.....A giudicare dai manifesti, la cosa peggiore che può capitare a una ragazza è di sentirsi perfettamente a suo agio nella sua funzione accessoriale.......Il sesso è ovunque simbolizzato nel fascino della lussuosa produzione di massa: gioco di plastica carnosa e metallo liscio e ancor più carnoso."

Come accade spesso per Hamilton, l'opera è il risultato di un'idea complessa, una costruzione che richiede talvolta chiarimenti verbali che il suo autore peraltro non lesina (questo dipinto è oggetto di una lunga dissertazione), in presenza di una capacità comunicativa piuttosto raffinata e meno immediata di quella del pop americano, che cerca l'occasione di esprimere, nell'oggetto inanimato, qualcosa di vicino al carattere umano.

*articolo aggiornato il 10/06/2012


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