".... la Pop Art è stata un grande
tentativo di organizzare una visione nuova della realtà
e non soltanto un movimento artistico come tanti altri".
(Roy Lichtenstein)
Roy Lichtenstein (1923-1997) rappresenta la faccia sofisticata della Pop Art,
un movimento al quale si avvicina per spirito di contestazione,
con un approccio "...anti-contempaltivo, anti-sfumature,
.....anti-qualità pittorica, anti-zen....anti tutte quelle
idee brillanti dei movimenti precedenti che ognuno conosce perfettamente",
perchè lui è "contro", semplicemente.
Il suo stile si connota nei termini che ci sono familiari e
che lo contraddistinguono in modo peculiare verso gli anni '60,
quando egli comincia a riferirsi come fonte pressochè
unica delle sue creazioni al mondo dei fumetti, utilizzandone
le immagini ingrandite e dilatate ad esprimere, con gli stessi
mezzi della grafica pubblicitaria, la banalizzazione operata
dall'informazione di massa sulla realtà: lo stesso tema
propone anche nell'artificioso ingrandimento, a mezzo di un
proiettore, di opere del passato, cubiste, futuriste espressioniste,
Picasso, Mondrian, Cezanne, rivisitate e restituite graficamente
con una puntinatura tipografica ad effetto pointillisme, ponendo
l'osservatore davanti alla necessità di valutare la propria
reazione a fronte di una rappresentazione radicalmente mutata
nel suo codice convenzionale.
Lichtenstein rispolvera la tecnica dei "Ben Day dots", un processo di stampa in cui piccoli punti colorati di colori diversi sono ravvicinati, distanziati o sovrapposti per creare, mediante un'illusione ottica, i mezzi toni cromatici sulla carta economica dei periodici e pur trattandosi di un’invenzione non moderna (risalente addirittura al 1879) i punti Ben Day sono inevitabilmente associati ai fumetti illustrati delle riviste popolari degli anni ’50 e ’60.
Il materiale utilizzato da Lichtenstein deriva quindi dalla cultura
popolare, della quale è l'espressione più elementare
ed immediata, ma egli ne seleziona e ne utilizza gli elementi
con raffinata e sottile attenzione, tanto da operare una sostanziale
revisione delle fonti di ispirazione per un esito del tutto
diverso: egli stesso dice "spesso questa differenza non
è grande, ma resta essenziale".
Pur volendo esprimere la banalizzazione, Lichtenstein non
è mai banale e, pur nell'ambito della Pop Art, non
ha nulla dell'artista autenticamente popolare: grazie all'ironia
lucida e intelligente di un linguaggio marcatamente personale
che lo differenzia da tutti gli altri artisti pop, lontano
dalla spersonalizzata ripetitività di Andy Warhol,
le sue opere hanno spesso una aulicità, una solennità
che lo avvicinano alla monumentalità classica di un
Seurat, di un Poussin, denunciando un'intenzione sempre rigorosamente
tesa ad un risultato estetico, con un interesse costante per
il contenuto artistico, in rapporto quasi ossessivo con le
sue stesse teorie su e per l'arte.
Le sue idee sulla genesi artistica e sulle tecniche esecutive
furono infatti precise e puntuali come teoremi matematici,
applicate ad un sistema di lavoro molto sofisticato e minuzioso
che partiva dallo studio al microscopio dell'immagine di una
comic strip, poi ingrandita e riportata sulla tela con un
procedimento grafico integrato, successivamente, dal lavoro
pittorico vero e proprio, una elaborata esecuzione da specialista.
La contaminazione tra la cultura popolare espressa dal fumetto
e l'atteggiamento pittorico di un intellettuale colto e raffinato
confluiscono in composizioni spesso di grandi dimensioni,
realizzate con i mezzi formali tipici del fumetto e delle
tecniche tipografiche ad esso connesse, come ben si evidenzia
in questo grande dittico su tela del 1963, "Whaam!",
172 x 269 cm : il contorno nero e ben definito, il colore
disomogeneo, come nella stampa di scadente qualità
per la presenza di una grossolana puntinatura ottenuta con
la sovrapposizione di un retino metallico con fori appositi,
l'uso di combinazioni di colori primari come nelle edizioni
economiche, secondo la tecnica di lavorazione "Ben Day",
sono tutti mezzi che definiscono immagini solari, chiaramente descrittive, ironiche,
gioiosamente colorate, lontane dalle angosce esistenziali
di tanti movimenti precedenti, espressive di un mondo nuovo,
spensieratamente consumistico ed entusiasticamente moderno.
E' probabilmente la necessità di indagine su un mondo
interiore che, verso gli anni '70, spingerà Lichtenstein
a cimentarsi in una serie dimmagini basate esclusivamente
sullo specchio, inseguendo con nuove tecniche e nuovi materiali
il riflesso di sè, in seguito contaminando varie tecniche
fra loro (le serie 'Brushstroke' e 'Mirror'), tecniche pittoriche e tecniche
di riproduzione meccanica, per dimostrare ancora una volta
che, in arte, nulla si può dare per scontato, che ogni
immagine può essere reinventata e che nessun modo è
migliore di un altro per guardarla o capirla, così
come non ci sono regole per ciò che riguarda l'ispirazione
dell'artista.
Come Lichtenstein diceva,"ciò che caratterizza
la Pop Art è inanzitutto l'uso che fa di ciò
che viene disprezzato", non ha alcuna importanza il contenuto
del messaggio proposto, importa solo come esso viene trasmesso,
ogni cosa può divenire arte, anche l'immagine di un
"fumetto", quando, estrapolata dal suo contesto,
diventa unica ed autonoma, oggetto estetico di cui il pubblico
è destinatario e consumatore finale. |