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Gustav Vigeland, "Vigelandpark" a Oslo
di Vilma Torselli
publicato il 5/05/2007
Impronta epica di grande respiro nell'espressionismo venato di eros di un artista nordico amante della natura.
"Quante divinità abbiamo creato.........le abbiamo adorate, le abbiamo abbracciate, le abbiamo incoronate........ Ma il fatto più strano è che per tutto il tempo in cui le stavamo adornando, noi sapevamo che avremmo voluto frantumarle; è come se un piccolo essere dentro di noi ce lo suggerisse". (Gustav Vigeland, 1897)

La cultura non solo visiva della Norvegia ha origini relativamente recenti, e dalla preistoria fino al '300, anno di una famosa pestilenza, si susseguono secoli di scarso significato culturale e di scarse testimonianze archeologiche, fatta eccezione per le stupende chiese in legno, le stavkirker della civiltà vichinga, straordinario esempio di architettura medioevale.
Solo nel XV secolo nasce una letteratura "nazionale", di cui sarà massimo rappresentante Ludvig Holberg, e bisogna arrivare all'800 per trovare la "società norvegese", che rappresenta il maggior movimento culturale strutturato, in grado di risvegliare una coscienza nazionale sostanzialmente non troppo reattiva.
Verrà l'opera di Edvard Munch, alla fine del secolo XIX, ad attizzare il fuoco sotto le ceneri, a mettere in evidenza e a "gridare" le angosce di una società in crisi prossima ad una svolta epocale che sarà drammatica e sofferta, come in tutto il resto dell'Europa.

Sulla base di queste premesse va letta l'arte norvegese del primo '900 e l'opera di Gustav Vigeland (1869-1943).

Noto soprattutto come artefice del parco di Frogner a Oslo, Vigeland ne curò l'impianto paesaggistico e l'arredo urbano, realizzando entro il suo perimetro un ciclo scultoreo, il "Ciclo della vita", che rimane il suo capolavoro assoluto: disposti secondo un asse che seziona in due parti l'intera area, sono presenti più di 200 gruppi scultorei, sia in bronzo che in granito, lungo un percorso che si snoda per circa 1 chilometro, un grandioso racconto monumentale iniziato nel periodo tra le due guerre mondiali e concluso all'inizio degli anni '50.

Il tema fondamentale presente nel Vigelandpark ed in tutta l'opera del suo autore, espresso in un linguaggio formale di straordinaria creatività, fortemente innovativo, è quello del rapporto uomo-natura, un rapporto simbiotico che intreccia in modo indissolubile corpi maschili e femminili e motivi vegetali, uomini ed animali, che esprime innanzi tutto una mentalità tipicamente nordica, nella quale la natura, concepita come madre di ogni forma vivente, riassume in un rapporto olistico tutto il mondo fenomenico.

E' la stessa componente naturalista-ambientalista che si rintraccia nell'architettura organica di Alvar Aalto e Eero Saarinen, finlandesi, nel pensiero del norvegese Christian Norberg-Schulz, teorico e storico dell'architettura, dove ritroviamo ("Genius loci", 1979) il concetto di una dimensione esistenziale dello spazio ambientale, nell'opera architettonica di Knut Knutsen, autore di straordinarie costruzioni armonicamente integrate nell'ambiente naturale, nella storia della cultura scandinava, dove l'arte, come nel Vigelandpark, è sempre rappresentazione e metafora degli avvenimenti della vita, la caccia, la maternità, l'amore, l'infanzia, il mondo animale e vegetale, confusi in una comune epopea.

Denominatore comune che percorre tutta l'opera di Vigeland, è una percezione della forma estremamente sensuale, una morbida plasticità animata da una tensione costante che dinamizza i volumi, ad esprimere un intrinseco conflitto tra materia e idea, tra amore e morte, tra eroismo e tormento esistenziale, ed anche tra uomo e donna, tra sesso maschile e femminile, simbolo del disfacimento delle istituzioni tradizionali, la famiglia per prima.
E', quest'ultimo, un tema ricorrente nel periodo storico di fine secolo, soprattutto nell'ambiente mitteleuropeo dove un clima di rassicurante e decadente estetismo viene gradualmente sgretolato da inquietudini sempre più manifeste, basti pensare a Klimt, a Schiele, a Kokoschka, alla confluttialità latente delle figure intrecciate nel "Il bacio", al drammatico dinamismo espressionista di Auguste Rodin, con il quale Vigeland ebbe rapporti a Parigi.

Tuttavia, pur venato dal pathos esistenzialista di matrice kirkegaardiana, dall'angoscia di vivere che nell'opera del conterraneo Edvard Munch esplode con incontenibile soggettività, il linguaggio di Vilegand si differenzia per un'impronta epica di ampio respiro, resa in una soluzione formale realistica e composta, dal significato simbolico, ad esprimere una introspezione sofferta ma controllata, lontana dalla tendenza autodistruttiva di Munch, alleggerita dall'"eros" che, più o meno esplicitamente, percorre tutta l'opera di Vigeland.

Altrettanto incisivo è il linguaggio grafico di Vigeland, nei piccoli schizzi preparatori a china nera, fortemente contrastati, dal vigoroso tratteggio, scarni ed essenziali nella definizione di volumi netti attraverso un gioco chiaroscurale sapiente e sicuro.

Testamento spirituale di Vigeland, che nell'ultima parte della sua esistenza lavorò quasi esclusivamente al parco di Frogner, può considerarsi il Monolito di granito, alto 17 metri, che riassume la storia della vita umana nel groviglio di 121 figure contorte in un movimento ascensionale a piramide, circondate al perimetro da 36 statue, probabilmente il monumento in granito più alto del mondo, certamente il più suggestivo inno alla vita, alla natura e all'amore.


DE ARCHITECTURA
di Pietro Pagliardini


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