".....Mentre ci avviciniamo ai nostri giorni non
si può dimenticare che lidea dello spirito è
diventata meno "spirituale". Come si è detto,
più che salvare anime, adesso si cerca di salvare gli
uomini." (Antoni Tapies, "Discorso sullarte",
Università di Barcellona, 22 giugno 1988)
Antoni Tapies (1923_2012), nato a Barcellona, catalano, come Mirò,
come Picasso, come Gaudì, è come loro marchiato
dai suoi luoghi d'origine con un imprinting ben riconoscibile
legato ad una visione plastica che in Picasso ricerca la tridimensionalità
nelle due dimensioni della tela e in Gaudì produce
le straordinarie architetture della Sagrada Familia, di Casa
Batllò, di Casa Milà, quei discorsi di pietra,
quei muri escoriati che certamente il conterraneo Tapies
osservò più volte, nel corso della sua vita,
con l'emozione di chi, da vero artista, non vede, ma guarda.
In tutta la sua opera, Tapies non ha che un fine, un mezzo,
un tema: la materia, un rapporto fisico, carnale, sensuale
con la concretezza della materia.
Con un'espressione molto efficace, lo scrittore catalano Pere
Gimferrer dice che Tapies è pervaso da una ineludibile
volontà di "dare a vedere ", di
proporre la materia, in termini che non vogliono dire, non
vogliono significare, ma essere, in un linguaggio che può
talvolta apparire criptico, cifrato, quasi illeggibile e
che invece diventa, nell'evidenza della percezione, in virtù
della sua sola esistenza, una forma di conoscenza: così
confluiscono nelle sue opere gli oggetti reali, non la loro
rappresentazione, vestiti, scatole, forbici, corde, e le tracce
dell'uomo, impronte del corpo, dei piedi, delle mani, orme,
passi, ad inscenare la grande metafora della vita, del destino,
del tempo.
Nei dipinti, nelle stampe, nelle incisioni, nelle xilografie,
nelle sculture, negli assemblages, Tapies prosegue con coerenza
la sua ricerca formale, facendo dell'imprevisto, alle prese
con la pietra o con il metallo o con gli oggetti più
disparati, l'occasione per nuove sperimentazioni, per nuovi
effetti, con la curiosità di sempre, dicendo: "Affronto
tutto il mio lavoro con lo stesso spirito....",
con uno scopo, quello di usare la materia ed il suo potere
evocativo come mezzo di comunicazione, come alfabeto basico,
segnico, di valenza universale al quale affidare messaggi
forti, perentori ed eterni.
Il percorso artistico di Tapies passa quindi dapprima attraverso
le suggestioni espressioniste, l'opera di Picasso, le fasi
surrealiste riferibili a Mirò e Klee, per giugere poi,
alla fine degli anni '40, alla formulazione di un linguaggio,
che sarà definitivo, identificabile come informale
materico, dove gli elementi figurativi vengono totalmente
estromessi ed il segno pone in secondo piano la sua valenza
grafica per acquisirne una gestuale e divenire traccia materica,
materia-colore, materia-fango, primordiale, essenziale, talvolta
monocromatica o giocata su un ristretto numero di tonalità,
come in questo "Superposición de materia gris"
del 1961, tecnica mista (olio e cemento su feltro) di 197
x 263 cm.
Materia secca, terrosa, che si sgretola, si fessura, come
un muro catalano arso dal sole, stratificata, dove i graffiti
sono a volte illeggibili e il segno appare già antico,
consumato dal tempo, dove la tela, dice Tapies, diventa "un
campo di battaglia dove le ferite si moltiplicano infinitamente":
è un nuovo concetto di materialità che rifiuta
la pittura stessa, il "fare pittura", è l'azione
oggettiva, primordiale, lontana da simbologie trascendentali,
di un uomo che vuole "incidere", sia in senso metaforico
che reale, la traccia della propria identità di individuo,
con brutale essenzialità, su un supporto duraturo,
su una materia che è viva, pulsante, evocativa della
sofferenza che percorre la vita e la natura in un dramma cosmico
di cui i "muri" scabri di Tapies sono la testimonianza.
Per i tempi a venire e per tutti gli uomini che verranno.
link:
Alberto Burri "Sacco e rosso"
Roberto Crippa "Dramma di una palizzata"
* articolo aggiornato il 24/11/2014
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