Tom Phillips (1937) è un artista a tutto tondo,
pittore, grafico, scultore, musicista, compositore, regista
teatrale, cinematografico, televisivo, artista multimediale,
una molteplicità di talenti in ognuno dei quali egli
porta la sua meticolosa capacità di documentazione e
la sua straordinaria attenzione per il dettaglio che non viene
mai meno, dalla casuale ispirazione iniziale sino alla finale
esecuzione dell'opera.
All'interno della sua vasta attività , Phillips realizza
opere che a buona ragione si possono definire concettuali, soprattutto
tenendo conto del fatto che l'arte concettuale, per sua stessa
definizione, può realizzarsi in qualunque forma l'artista
reputi di adottare, purchè funzionale alla comunicazione
di un concetto, di un'idea intrinseca.
Questo aspetto è il
lato positivo e contemporaneamente negativo di una forma d'arte
indefinibile e multiforme come il pensiero dell'uomo, che può
conglobare anche opere dal linguaggio piuttosto convenzionale
e tuttavia di forte componente concettuale, come nel caso dell'opera
presentata: una grande composizione a colori acrilici su tela,
realizzata quindi con metodi tradizionali, in un linguaggio
a tutta prima facile e comprensibile, nelle intenzioni dell'artista
che dice: "Vorrei che i miei quadri avessero la funzione
che l'arte ha sempre avuto, quella di aiutare la gente a vedere
il mondo...."
Con questa premessa intenzionalmente didascalica, la scia
in cui si muove Phillips è quella tracciata da Joseph
Kosuth, secondo il quale l'artista non deve limitarsi a fare un'opera d'arte,
ma andare oltre, analizzarne la funzione, il significato,
l'uso, decifrarne le componenti concettuali senza aspettare
che lo faccia per lui la critica, perchè "... le
proposizioni artistiche non hanno un carattere fattuale, ma
linguistico, cioè non descrivono il comportamento di
oggetti fisici o mentali; esprimono definizioni di arte o
le conseguenze formali che da queste derivano." (Joseph
Kosuth, "Art after Philosophy", nel testo "Conceptual
art" di Ursula Meyer).
Questo "Benches" del 1971, un acrilico su tela
di 125 x 275 cm, fu eseguito da Philips a seguito dell'emozione
suscitatagli da una cartolina acquistata in una stazione ferroviaria,
un'immagine che risvegliò in lui ricordi d'infanzia
legati al concetto di mortalità, riferimento principale
dell'opera, intrecciato a richiami culturali che vanno dall'Inferno
dantesco al Requiem di Brahm.
Le figure, intercalate
da fasce di colori casualmenti accostati, riassumono il tono cromatico
di tutte le tonalità presenti nel dipinto, dichiarando al proposito lo stesso Phillips: "Per ciò che riguarda le strisce di
colore, in questo e in altri dipinti, si è determinato
uno strano rapporto che ricorda un po' quello tra l'uovo e
la gallina. L'immagine genera i colori che compongono le strisce;
le strisce condizionano il procedimento adottato nel dipingere
l'immagine."
Secondo Edward Lucie-Smith, questo dipinto si può
inequivocabilmente definire concettuale anche per la massiccia
introduzione di scritte, denunciando in ciò un forte
legame con la Pop Art, primo movimento artistico ad introdurre
la scritta nell'opera grafica. La differenza sostanziale sta
nel fatto che gli artisti pop, almeno inizialmente, utilizzano
la scritta perchè insita nel materiale di recupero
usato per comporre le loro opere, mentre negli artisti concettuali,
come non solo Phillips ma anche Mel Bochner, la scritta ha
una sua ben precisa connotazione pittorica quando, come nel
caso di Shusaku Arakawa, non serva a mettere in risalto la
corrispondenza fra rappresentazione e verbalizzazione, tra
immagine e concetto.
Forse per la sua grande versatilità, Tom Phillips
si può definire, nel vasto panorama dell'arte concettuale
americana, un artista di grande sensibilità umana,
che trova nell'arte certamente un mezzo per esprimere le proprie
idee, ma soprattutto per comunicare con i suoi simili ed aiutarli
a "vedere" il mondo che li circonda.
link:
Il Concettualismo
Arte, numeri, lettere
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