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Mimmo Paladino, "Senza titolo"
di Vilma Torselli
pubblicato il 6/05/2007
La forma, la materia, il segno, la passione combinatoria dei materiali, in un viaggio analitico intorno alle possibilità espressive delle cose.

Fra i più noti appartenenti alla Transavanguardia, movimento creato e teorizzato da Achille Bonito Oliva negli anni '60 come risposta italiana al Neo-espressionismo tedesco, Mimmo Paladino (1948) ne rappresenta lo spirito forse più degli altri componenti (Sandro Chia, Francesco Clemente, Enzo Cucchi e Nicola De Maria ) attraverso il suo concetto di un'immagine essenziale, ridotta all'espressione fondamentale, costruita dai segni semplificati ed eleganti di un alfabeto personale sconosciuto eppure, lo si percepisce chiaramente, denso di significati arcaici e metaforici.
E', quello di Paladino, un racconto affabulatorio che riscopre una memoria antica, come in questo "Senza titolo", olio su tela del 1982, dove la comunicazione, in mancanza di un titolo significativo che la orienti, è affidata alla sola immagine, alle suggestioni grafiche, alla complessa raffigurazione segnica che mischia citazioni, decorazioni, figure ed oggetti in un'atmosfera vagamente spettrale per il contrasto cromatico tra i bianchi freddi e assoluti ed il rosso dominate del tavolo e dello sfondo.
Pur senza imporre esercizi interpretativi sulla perfetta leggibilità dell'immagine, è chiara la latenza di un significato metaforico e simbolico che l'autore affida, senza ulteriori interventi, al nostro inconscio o forse alla nostra memoria più profonda, dove è riposto ciò che il tempo non può corrodere.

Su Mimmo Paladino propongo alcune riflessioni di Alessandro Tempi, segnalando che si può trovare il testo integrale dell'articolo, unitamente ad altri dello stesso autore, su "Brevi manu", Note e cronache d'Arte, oggi, Quaderni di cfr., edito dall'Agenzia Giovani "Mauro Rostagno", San Giovanni Valdarno)

".......dopo l'esaurirsi della spinta propulsiva della Transavanguardia - cui peraltro egli deve gran parte della sua fortuna - si è andato spingendo verso regioni estreme della rappresentazione, in un luogo mitico dove transitano - addensandosi, diradandosi, alternandosi - forme e simbili di una cultura irriducibile al puro discorso logico e che, al contrario, è dominio di elementi figurali e simbolici tipici di una condizione mitico-magica della coscienza. A questa sono tuttavia estranei tanto il rapporto con la Storia., la Società, la vita quotidiana, quanto ogni pretesa razionalizzazione che voglia spiegare o "far cultura" intorno al fare artistico che da essa origina.
Ciò che invece è centrale ed essenziale nella pittura di Paladino è, da sempre, la forma, la materia, il segno..............un'evidente passione combinatoria dei materiali, che è un viaggio analitico intorno alle possibilità espressive delle cose, alla loro suscettibilità traspositiva che tuttavia non va mai a scapito di una acuta lucidità, di un'autonomia del pittore dalle cose stesse.
E' come un estraniarsi dall'esistente per proiettarsi in un "mondo altro", inarrivabile alla verbalizzazione, alle spiegazioni: un mondo popolato di presenze inquietanti, figure fantasmagoriche fra l'umano e il non-umano, dai volti ovali - come non ricordarci, qui, di Modigliani? - e, talora, dall'apparenza larvale o metaforica.
La scena della pittura di Paladino è insomma quella di una contaminazione di materiali e di segni in cui si manifesta - o, forse si ritualizza, giacché egli sembra vedere nella pittura un'energia unificatrice, organizzatrice assidua di eterogeneità - il mistero del rapporto fra conscio ed inconscio, che non può mai essere esaurito dalla sola parola.
La pittura di Mimmo Paladino traccia tuttavia il diagramma raffinato e controllatissimo di questa irriducibilità, ma che pur significa, forse più di quanto siamo disposti a credere
". ("La Gazzetta di Firenze", 9 novembre 1989)


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