"Nulla sine tragoedia gloria".
(Giorgio De Chirico)
Il dipinto è particolarmente significativo della "pittura
metafisica" di questo artista dalla personalità
complessa, contraddittoria e misteriosa che fu pittore, scultore,
scrittore, inventore e ricercatore di tecniche pittoriche
che restano sue particolari.
Abile come nessun altro a creare volontariamente effetti sorprendenti
e sconvolgenti, ironico osservatore della realtà che
non coincide con la verità ma serve a mascherarla dietro
la perifrasi della dissimilitudine, questo pictor optimus
pone all'osservatore inquietanti interrogativi sull'arte e
sulla vita.
Per queste sue caratteristiche, Giorgio De Chirico (1888-1978) venne riconosciuto
dai pittori del Surrealismo
un fondamentale riferimento ed un geniale anticipatore della
loro poetica, basata proprio sull'accostamento insolito di
oggetti quotidiani incongrui rispetto a contesti non conformi,
per le sue raffigurazioni di interni claustrofobici colmi
di oggetti stravaganti, mappe, telai, manichini talvolta monumentali
sullo sfondo di vedute ferraresi (come nel "Grande metafisico"
del 1917).
E' Apollinaire a coniare per la pittura di De Chirico sulla
rivista "L'intransigeant" il termine "metafisico",
mentre, attorno al 1918, sulla rivista "Valori Plastici"
si comincia a parlare di "pittura metafisica".
"Le muse inquietanti", un dipinto del 1917 nel quale
già si colgono molto chiaramente i caratteri di quello
che sarà il mondo figurativo "metafisico",
"al di là delle cose sensibili" di tutta
la pittura seguente, rappresenta il tentativo di cogliere
un mistero celato nel mondo fenomenico, al di là dell'apparenza,
personale elaborazione dell'artista di contatti e frequentazioni
con l'irrazionalismo tedesco e le teorie filosofiche di Schopenhauer,
Nietzsche, Weininger.
Le teorie di Nietzche, filosofo molto amato da De Chirico,
rivivono nel rigore dei canoni compositivi tradizionali, negli
spazi rarefatti e deserti, nelle architetture stilizzate dall'ordinata
geometria e dalla prospettiva deformata, nel ricorrente tema
del manichino, metamorfosi misteriosa ed indecifrabile della
figura umana, che, non essendo umana, si presta egregiamente
ad esprimere quellassenza di vita che caratterizza la
pittura metafisica. Ne deriva una satira lucida dell'aspetto
comune delle cose in cui la matrice classica dell'origine
greca viene annullata e superata in un processo dove si rintracciano
concetti postmoderni, dando forma ad una lettura anomala dello
spazio e della prospettiva che, devitalizzando la realtà,
pone sotto una nuova luce la stessa identità umana.
Il tema dominante è quello di un'eternità immobile
e misteriosa, che prevarica lapparenza delle cose ed
induce ad interrogarsi sul loro significato ultimo, sul perchè
della loro esistenza, in un'atmosfera magica da visione onirica.
La piazza, scena del quadro, pavimentata di assi, somiglia
ad un palcoscenico che ha come sfondale il castello di Ferrara
ed una fabbrica con ciminiere, metafora della bipolarità
antico-moderno, presente-passato, strutture vuote ed inutilizzate,
in un complesso scenario panoramico rappresentato da due punti
di vista diversi, uno in alto per la parte inferiore, uno
in basso per la parte superiore, chiara citazione della pittura
fiamminga del '400.
Protagoniste della scena sono le Muse, che l'artista definisce
inquietanti perchè delega loro il dialogo con il mistero,
con la verità al di là dell'apparenza, con una
realtà svincolata dal tempo e dallo spazio, in polemica
con un concetto di modernità che nega i valori del
passato, trasformandole in manichini: quello in primo piano,
grazie alle pieghe verticali della veste, pare sul punto di
metamorfizzarsi in colonna ionica, mentre laltro, in
secondo piano, seduto, ha la testa smontata ed appoggiata
a terra, simile ad una maschera che allude al negrismo caro
a Pablo Picasso e allambiente parigino del suo tempo,
in riferimento polemico con il Cubismo e tutte le correnti
avanguardiste che De Chirico ha sempre rifiutato.
I colori sono caldi, giocati sui toni del rosso-marrone, corposi,
privi di vibrazioni, la luce è bassa, le ombre lunghe,
nette e definite, la prospettiva converge verso il fondo del
palco ligneo a definire uno spazio vasto ed irreale, innaturalmente
deserto e statico, un luogo allucinante dove tutto è
cristallizzato in una sospesa realtà atemporale e la
vita umana è preclusa, sostitiuita da quella puramente
figurativa dei manichini.
link:
Ordinè
- n° 2 Novembre 2008 (e-book)
pag 102 - Cinque esperienze matafisiche dello spazio.
Adriano, Leopardi, Capra, De Chirico, Rothko
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