In linea di massima Barnett Newman (1905-1970) si può
inquadrare nell'Espressionismo astratto americano, un movimento
che raggruppa personalità anche molto diverse fra loro,
accomunate però dall'interesse verso la cultura europea
giunta in America con l'esodo dei Surrealisti, da un comune
profondo senso di orrore nei confronti della guerra in corso,
dal desiderio di avventurarsi nei meandri dell'inconscio alla
ricerca dell'essenza dell'uomo e della natura. Il linguaggio espressivo è sostanzialmente emotivo,
ora concitato e carico di pathos, urlato e caoticamente vitale
come nelle tele di Pollock, ora riflessivo ed interiorizzato,
con accenti di trascendente meditazione, come nel caso di Newman:
quest'ultima tendenza, implicante una certa propensione verso
atteggiamenti orientalizzanti e contemplativi, verrà
poi definita anche "Scuola del Pacifico".
Come tutti gli espressionisti astratti Newman è un membro
della cosiddetta Scuola di New York, che ospita
al suo interno tendenze con sfumatura diverse, e mentre Pollock,
Arshile Gorky e Willem de Kooning, ad esempio, possono definirsi action painters per l'accento che pongono sul rapporto gesto-segno,
altri, come Barnett Newman, Ad Reinhardt, Clyfford Still, Mark
Rothko, privilegiano il rapporto forma-colore, individuandosi
come 'Color Field painters' o, usando una definizione coniata
da Gillo Dorfles, 'Logic Color painters'.
Nell'opera di Newman, l'informalità che caratterizza
tutto l'Espressionismo americano appare superata in un contesto
logico, sintomo di un concetto di pittura più controllata,
oggetto autonomo piuttosto che riflesso di un sentire individuale,
una pittura di "concretezza" europea, che, eliminata
ogni referenzialità, ha come unico oggetto della rappresentazione
lo spazio, interpretato come puro colore che dilaga dalle
tele monumentali ed avvolge lo spettatore: è lo stesso
concetto di spazialità, anch'esso di impronta europea,
che ritroviamo anche in Mark Rothko.
Su di lui E.C. Goosens scrive : "L'arte di Newman riguarda
il colore in relazione alla dimensione e alla forma e equivale
a una strategia delle proporzioni. Egli differisce da Rothko
e da Still, che fino a un certo punto gli sono analoghi, nel
suo assoluto disprezzo per ogni illusione atmosferica e pittura
strutturata."
Nel '48 Newman elabora un suo testamento spirituale, il suo
manifesto estetico, "The Sublime Is Now", dove una
sua celebre frase, "Aesthetics is for the artist as ornithology
is for the birds", introduce il concetto base della sua
interpretazione dell'arte: "Capire l'estetica è
l'unico requisito per capire l'arte? Non credo".
L'aspetto innovativo del suo operare sta tutto qui.
I quadri di Newman, come ben si apprezza in questo "Achilles",
del 1952, olio e resina acrilica su tela, 241,6 x 201 x 5,7
inches, sono grandi stesure di colore puro, non rappresentativo,
senza aspirazioni simbolistiche, espressione prelinguistica
primordiale che chiama l'osservatore ad una partecipazione
libera, ad una lettura poetica dell'opera che si forma nel
momento dell'osservazione, ha la freschezza dell'immediato,
si svela nel momento in cui si guarda: la libertà dell'artista
che crea è pari a quella del fruitore che osserva.
In un interessante parallelo tra la sensazione immediata
dello spazio di Barnett Newman e le esperienze sonore di John
Cage o l'opera di Max Neuhaus, artista di colori sonori e
tonalità luminose, le parole di quest'ultimo suonano
particolarmente adatte ad esprimere la chiave di lettura dell'opera
di entrambi : "L'appello non è tanto mentale,
il giudizio che l'opera attende per acquisire il proprio senso
non richiede una presa di visione delle regole, una competenza
linguistica, ma l'applicarsi della sensazione. Questo è
un elemento di fisicità che è fortemente americano
e che caratterizza, oltre la scrittura, anche l'interpretazione"
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