La pittura di Antonio Ligabue (1889-1965) è percorsa
dal filo rosso della pazzia che ha costantemente segnato la
sua vita tormentata e propone ancora una volta in modo perentorio
una vecchia domanda che non ha mai avuto risposte definitive:
qual è, in realtà, il limite che divide la genialità
dalla follia? come possono coesistere due condizioni apparentemente
conflittuali?
Sbrigativamente e riduttivamente, da molti l'arte di Ligabue
è stata definita naïf per il suo spirito visionario
e bucolico, per il ricorso ad una simbologia popolare folcloristica,
per i richiami al mondo della natura e della realtà
contadina, per i colori brillanti, materici, densi e vivaci,
spesso chiamando a confronto l'opera di Henri Rousseau,
uno dei maestri della scuola naïf francese.
In realtà la pittura di Ligabue, che ci propone
una visione del mondo vista attraverso la lente deformante
della psicosi, è selvaggia, aggressiva, violenta,
istintiva e patologica, espressa con una tecnica rozza,
seppure dal tratto preciso e nervoso, spesso ricalcato e
sovrascritto, talvolta finemente calligrafico, infantilmente
figurativo, piena di immagini cruente e brutali di animali
feroci, tigri, giaguari, leopardi.
Come in questo olio su tela "Guerriero
e leone", queste minacciose creature, abitanti di mondi fantasticii che l'autore non ha mai visitato,
spalancano le loro fauci spaventose rivelandosi
metafore della paura e del dolore interiore di una personalità disturbata in preda ad un delirio
creativo che sconfina nell'incubo.
I suoi numerosi autoritratti, mezzo introspettivo al quale
anche Van Gogh ricorse numerose volte, di grande intensità
quasi ipnotica, trasmettono all'osservatore il senso dell'intima
verità delle cose, in una pittura che qualcuno ha
definito realismo magico, istintiva, permeata
del senso della natura e con essa in relazione empatica.
Genio folle, incompreso, emarginato dalla società,
personalità borderline di difficile classificazione
psichiatrica, forse psicotico, forse nevrotico, il personaggio
Ligabue oscura talvolta l'artista, inducendo il ricorso
ad una colorita aneddottica prima che ad una critica profonda
ed accurata di un linguaggio non facile, seppure di minuziosa
descrittività.
La composizione del dipinto è sempre dominata dalla
centralità della figura principale, ben distinguibile
pur nell'intrico di una giungla fitta di vegetali e di nascosti
pericoli, come si vede nell'opera proposta, in un insieme
unitario che non viene disperso dal groviglio dei segni,
dalla complessità dei tracciati disordinati e spezzettati,
e conserva una precisa definizione dei volumi delle figure,
deformate alla maniera espressionista dalla pressione del
segno sul supporto, il che accade soprattutto nei disegni
a matita (venne più volte paragonato a Van Gogh,
di cui pare quasi una variante "padana", come
dice Vittorio Sgarbi).
Non casualmente Ligabue fu anche scultore, a ribadire la
sua sensibilità eminentemente plastica, trasferita
nel disegno e nella pittura con la stessa forza che esercitava
sulla materia, l'argilla delle rive del Po, quando modellava
le sue sculture, tozzi animali di sorprendente verismo,
nei quali gli accenti espressionisti paiono attenuarsi.
Concepiti nella disorganizzazione mentale di un artista
fortemente disturbato, i dipinti hanno tuttavia la strutturazione
definita e solida di una narrazione popolare raccontata
attraverso simboli ingenui, frutto della creatività
spontanea di un talento naturale che asseconda il suo impulso
senza impedimenti razionali.
La vena vivacemente cromatica dei Fauves, la violenza di
linguaggio dell'Espressionismo, la rude efficacia del primitivismo,
un acceso naturalismo visionario confluiscono nella pittura
di un artista che rincorre l'immagine dell'inconscio per
riconoscersi, per raccontarsi, con rabbia, con angoscia,
con dolore, eco di una voce che dallo smarrimento della
follia si insinua nelle pieghe delle nostre certezze di
"normali" per metterle in dubbio, squarciando
il velo della ragione attraverso il quale siamo abituati
a guardare il nostro mondo.
* articolo aggiornato il 19/05/2013
link:
Arte, creatività, follia