James Ensor (1860-1949) è un pittore caratterizzato
da una pungente carica satirica, amaro, dissacrante, dal simbolismo
acceso e fantastico con chiare sfumature di grottesco, per una
esasperata visione del mondo che da lì a poco prenderà
il nome di Espressionismo e scovolgerà per sempre il
modo di fare arte: come Vincent Van Gogh, Edward Munch ed in
parte Paul Gauguin, Ensor infatti apre la via alla più
grande rivoluzione stilistica del '900, tracciando la strada
dell'arte moderna.
Come per Munch e soprattutto Gauguin, l'opera di Ensor è
percorsa da una tensione allucinatoria che rende il suo mondo
poetico ironico e surreale e che a lui, olandese da parte di
madre, arriva dai conterranei Bosch e Brugel, una vena surreale,
una costante dell'arte di quei paesi se pensiamo ad altri due
grandi olandesi, Magritte e Delvaux, che gli permette di attuare
una sintesi del tutto personale tra sanguigne pulsioni espressioniste
e fantastiche divagazioni immaginatorie.
Personaggio umanamente complesso e al di fuori della norma,
Ensor venne ricompreso nella lista dei dieci 'grandi maestri'
stesa da Hans Prinzhorn, psichiatra, a cui si deve "L'attività
plastica nei malati di mente" (1922), raccolta di opere
di personaggi psicotici dove viene tracciata la relazione tra l'attività
artistica e la componente schizofrenica della personalità
di alcuni grandi artisti della modernità.
Scrive: Prinzhorn Ci troviamo di fronte ad un fatto
sorprendente: l'affinità tra il sentimento del mondo
schizofrenico e quello che si manifesta nell'arte contemporanea
può essere descritto con gli stessi termini...se si
osservano attentamente le forme d'espressione del nostro
tempo, si riscontra ovunque, nelle arti plastiche come nei vari
generi letterari, una serie di tendenze, che troverebbero
soddisfazione solo presso un vero schizofrenico(...). Sentiamo
ovunque un gusto istintivo per la particolarità che
conosciamo bene negli schizofrenici ...."
Prinzhorn era particolarmente interessato all'arte espressionista,
nella quale è presente la tendenza al gioco, l'elaborazione
ornamentale e la capacità di strutturazione ordinata
dell'immagine, caratteristiche tutte presenti nell'opera di
Ensor, nel quale tuttavia le interferenze schizofreniche di
tendenza all'isolamento e all'autismo sono decisamente sfumate.
"L'entrata di Cristo a Bruxelles", del 1888-89,
un olio su tela, 258 x 431 cm, oggi al Musée Royal
des Beaux-Arts di Anversa, è tra i più famosi
dipinti di Ensor e forse il suo capolavoro, una grande scena
di massa dall'imponenza barocca, enfaticamente celebrativa
se non fosse per l'ironica decontestualizzazione dell'evento-tema,
il Cristo che entra in città acclamato dalla folla.
La trasposizione temporale colloca il fatto all'epoca moderna,
in una città brulicante di folla, alla presenza di
una banda di militari in divisa, in mezzo ad una eterogenea
moltitudine di figure-fantoccio mascherate (la maschera, elemento
surreale per eccellenza, ricorre spesso nei dipinti di Ensor),
pupazzi inespressivi gelidamente ed ambiguamente sorridenti,
mentre gli striscioni con le scritte ed i cartelli colorati
conferiscono all'insieme l'atmosfera di una moderna manifestazione
di piazza.
Al centro della grande tela, la figura del Cristo avanza cavalcando
un asino, il capo circondato da una anacronistica aureola,
poco divinamente sommerso da una folla chiassosa e scomposta, cosicchè,
privato di ogni carisma, frustrato da una folla beffarda e
irridente, seppellito dal grottesco corteo, il simbolo della
fede cristiana perde ogni valore ideologico per divenire pretesto
di una critica della società moderna ridotta ad una
congrega di fantocci urlanti e indifferenti, personaggi caricaturali
volutamente volgari.
A questo aspetto si rifarà, qualche decennio più
tardi, la Nuova Oggettività, la "Neue Sachlichkeit"
di marca espressionista, così come la ritroviamo nelle
opere di Otto Dix e nel suo realismo "acido e sgorbiante" che esaspera il grottesco fino all'orrido, con minor ironia
di Ensor e maggior sofferenza emotiva.
L'impostazione prospettica del dipinto secondo un punto di
vista centrale focalizza l'attenzione sul Cristo che avanza,
mentre due blocchi laterali di figure in primo piano incanalano
la processione entro una profondità spaziale affollata
ma ben chiaramente strutturata, il disegno è intenzionalmente
grossolano, affidato a linee spezzate di grande potere emotivo,
con deformazioni di stampo espressionista (di cui si ricorda
certo Paul Klee), autonome rispetto al colore, con una loro
precisa valenza segnica (Ensor fu anche abilissimo incisore),
mentre il colore, che gioca un ruolo determinante in dialogo
paritario con il segno, violento ed acceso nel trionfo dei
rossi stesi in pennellate brevi e nervose, anticipa la corrente
fauve nel libero antinaturalismo e nelle controllate dissonanze.
Una grande metafora dell'esistenza, in chiave parodistica,
una beffarda satira della società borghese, della vita,
della morte, della fede e dell'ipocrisia, una parafrasi dell'assurdità
e dell'ambiguità della condizione umana espresse con
un'enfasi tragica in cui l'ironia, feroce ed impietosa, ed
il filtro del simbolismo non riescono a governare una componente
di angoscia ansiosa che intride tutta l'opera e la mette in
risonanza con le nostre più oscure e rimosse paure
interiori.
*articolo aggiornato il 23/4/2012
link:
Arte, creatività, follia.
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