Claudio Bravo (1936-2011), cileno, è
un pittore realista che ha operato in Spagna, patria di adozione
(ha vissuto lungamente a Madrid) durante la dittatura franchista,
in un periodo di chiusura culturale che, come accade per l'Iperrealismo americano nell'America nixoniana, spinge l'arte verso un ripiegamento
sul passato, con atteggiamento revisionista, alla ricerca dei
riferimenti messi in crisi dalla cultura visiva moderna, dove
prevale il linguaggio astratto, trovandoli nei grandi maestri
del passato: è ciò che fanno vari movimenti postmodernisti che si susseguono soprattutto in Europa e per i quali la sostanziale
caratteristica, che li differenzia da quelli americani, sta
nel tentativo costante di recuperare una dimensione interiore
e coniugare l'aspetto puramente espressivo con quello personale.
Di cultura cospmopolita (ha vissuto in Marocco, in Germania
e negli USA), Bravo resta un artista essenzialmente europeo
che si mantiene indipendente dai movimenti avanguardisti e guarda
al classicismo di Raffaello, di Rembrandt, di Tiziano e, soprattutto,
di Francisco de Zurbarán e, naturalmente, Diego Velázquez,
nei quali ritrova la matrice mediterranea della sua ispirazione:
come i grandi classici, ama i temi allegorici, mitologici o
biblici, tratti da una iconografia mistico-religiosa, ma realizza
anche straordinarie nature morte affrontate con solennità
ed impegno, senza traccia di ironia, con un'accuratezza esecutiva
ed un'abilità nell'uso del mezzo (in genere olio su tela,
ma anche carboncino, pastello, incisione), che lo caratterizzano
come un indiscusso maestro del trompe-l'oeil.
È curioso osservare come siano distanti i due artisti
più rappresentativi dell'arte moderna cilena, Roberto
Matta e Claudio Bravo, l'uno astrattista, rappresentante del
surrealismo nel suo paese, l'altro realista, estraneo allo spirito
rivoluzionario delle avanguardie, entrambi alla ricerca di un
mondo perfetto, l'uno tra le pieghe più profonde dell'inconscio,
l'altro nella realtà visibile pacatamente indagata e
resa con pennellate precise ed impercettibili dove ogni traccia
umana è assente.
Lo stile di Claudio Bravo è quietamente descrittivo,
come ben si evince da questa "Naturaleza Muerta" del
1993, pastello su carta di 75 x 110 cm, una natura morta di
controllato ed analitico realismo, di una veridicità
al limite del paradossale: nella più assoluta imparzialità,
sia quando affronta la rappresentazione simbolica, sia quando
propone oggetti comuni nella loro pura semplicità, talvolta
volutamente umile e banale, la pittura di Bravo non vuole comunicare
messaggi, vuole trasmettere tranquillità ed armonia (per
la verità, è questo il messaggio!), vuole prima
di tutto farsi guardare ed ammirare per la sua bellezza.
Viene facile il paragone con Domenico Gnoli ed il suo realismo
più marcatamente pop, ma simile per certi versi a quello
di Bravo, nella consumata abilità tecnica, nella straordinaria
padronanza del colore, nell'irreale perfezione del segno che
sublima l'umiltà del tema ad un livello sovra-umano (non
a caso, anche Bravo, come Gnoli, esegue negli anni '80 una serie
di dipinti che rappresentano semplicemente un drappo, tessuti,
panni, superfici moncrome mosse da pieghe molto realistiche).
Il realismo di Bravo è talmente perfetto, talmente deliberatamente
formale da superare gli stessi modelli, trascendendone la pura
rappresentazione visuale, esplorando la metafisica dell'oggetto,
senza coinvolgimento emotivo, senza contaminazione sentimentale:
è il suo modo di indagare la realtà visibile,
da osservatore nitido e freddo, ed appropriarsene attraverso
l'analisi dei particolari più minuti, valutati con acutezza
entomologica, riprodotti in una perfezione che non conosce esitazioni,
trasportati su un piano simbolico, consegnati ad un'incorruttibile
eternità.
* articolo aggiornato il 12/10/2013
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