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Montale e De Chirico
di Elettra Cecilia
pubblicato il 11/08/2007
Suggestioni ed atmosfere metafisiche tra letteratura, pittura, musica, numerosi i punti di contatto tra De Chirico, Eugenio Montale, Deboussy.
Ci sono dei punti di contatto tra alcune opere di De Chirico e alcune poesie di Eugenio Montale, facendo riferimento anche alla musica di Deboussy coeva e che più si avvicina alle atmosfere metafisiche e stranianti degli autori scelti in un percorso interdisciplinare molto vicino e attuale per la società a noi contemporanea riguardo i nuclei tematici che si evidenzieranno poi.
Nel contesto dell’arte metafisica, faccio riferimento specificamente ad alcuni quadri di De Chirico, escludendo la produzione pittorica di Carrà, Savinio, Morandi che fanno parte comunque del movimento, in quanto solo le tele di De Chirico sono le più vicine a certe atmosfere poetiche di Montale.

La radicale sfiducia da sempre professata da Montale nei confronti di qualsiasi “progresso” delle arti, e quindi verso la missione “rivoluzionaria” dei movimenti d’avanguardia sorti a partire dal primo Novecento, è forse all’origine della preferenza accordata dal poeta alla corrente artistica italiana, la Metafisica, che più d’ogni altra rivendica il suo carattere “implosivo”, il suo remare in direzione opposta alla smania di rinnovamento dilagante nel panorama generale dell’arte del tempo.

Ne scaturisce la Metafisica, che al chiassoso ottimismo tecnico-meccanicistico professato dal Futurismo marinettiano, contrappone ambientazioni assolutamente silenziose ed immobili, sospese tra un passato che ripropone all’infinito citazioni dell’antico in un presente “ibernato” che sembra non dover mai trascorrere.

Nasce così la celebre serie di dipinti ambientati sullo sfondo di piazze limitate da architetture che ricordano il rincorrersi di arcate tipico di una città molto cara al pittore De Chirico, quella stessa Ferrara teatro del suo incontro con gli altri artisti aderenti, a diverso titolo, al movimento metafisico.Nella cornice di queste piazze deserte, o al più abitate da enigmatici manichini e figure difficilmente catalogabili come “umane”, piuttosto ombre che individui, De Chirico sfodera tutto il suo “museo immaginario”.L’accostamento di tali motivi, rispondente alla logica sui generis del sogno, risulta

talvolta ironico, ma più spesso oscuro ed inquietante, finendo così per creare un effetto di totale straniamento, dovuto proprio alla collocazione di oggetti noti (si tratti di utensili o statue greche) in ambienti insoliti ed estranei.

La miglior produzione pittorica di De Chirico è avvenuta tra il 1909 e il 1919, ovvero il suo periodo metafisico: i quadri di questo periodo sono memorabili per le pose e per gli atteggiamenti evocati dalle nitide immagini. Mentre era ricoverato all'ospedale militare di Ferrara nel 1915, De Chirico conobbe il pittore futurista Carlo Carrà, con cui iniziò il percorso che lo portò a definire i canoni della pittura metafisica: a partire dal 1920 tali teorizzazioni furono divulgate dalle pagine della rivista "Pittura metafisica".
Quando, tra il 1910 e il 1920 circa De Chirico riempie le sue piazze di incontri fortuiti, di motivi e situazioni tra loro estranei, Eugenio Montale sta attendendo, nella sua Genova, alla propria formazione letteraria e musicale: sono infatti questi gli anni di studio testimoniati dal Quaderno genovese; ma sono anche gli anni in cui vedono a luce i primi, intensissimi componimenti del poeta, in seguito compresi negli Ossi di seppia pubblicati nel 1925.

La poesia, come la pittura, esprime il male di vivere e dà voce al medesimo disagio esistenziale; tanto rassegnata e riflessiva quella del poeta Montale, tanto inquietante e carica di mistero quella che è espressa nelle tele dechirichiane. Gli unici rimedi per ovviare a tale quotidiana assurdità sono allora l’indifferenza (intesa come l’ignara tranquillità dell’uomo comune) e l’attesa speranzosa del “miracolo” che giunga a spezzare l’immobile sortilegio delle apparenze.


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