Qualche anno fa ho scritto di lui:
Caratteristica dominante del mondo pittorico di Davide
Minetti, almeno agli esordi, è la presenza
pressoché costante della figura umana, spesso nelle
forme di musicanti, suonatori, artisti neri, appartenenti
al mondo del jazz, del quale è profondo e competente
conoscitore, e del blues (non a caso, la malinconia sembra
essere il tema conduttore delle opere di Minetti, soprattutto
in questo periodo). Figure rappresentate con tratti forti,
decisi, esasperati, espressi con una forza pittorica, nel
segno e nel colore, che vuole in realtà attingere
all’interiorità psicologica del personaggio
e liberarne l’intrinseca energia. Il segno e il colore
sono inscindibili, il linguaggio pittorico, solido e corposo,
lascia trasparire una forte carica emotiva malinconica e
umana, a denunciare un rapporto istintivo molto profondo
tra l’artista e l’oggetto rappresentato. La
costruzione della figura avviene per larghe masse cromatiche,
fortemente plastiche negli esasperati chiaroscuri e dinamiche
nella tensione spaziale, talvolta sommarie nei dettagli,
nella ricerca della sintesi tipica di un linguaggio istintivo
che, come quello di Minetti, vuole essere diretto e spontaneo.
Si coglie come l’opera non nasca tanto da uno schema
precostituito e aprioristico, quanto da una felice e sensibile
intuizione che produce freschezza ed immediatezza di linguaggio,
legate ad un’impostazione spaziale e prospettica dal
taglio insolito e dinamico che rende vigorosa e a volte
concitata la composizione generale dell’insieme.
Le città immaginarie dipinte in epoca cronologicamente
susseguente, in apparente contraddizione con la produzione
anteriore sia nella scelta del tema che nel ritmo compositivo,
più lento e costruito, sono in realtà l’espressione
di un momento di riflessione, di presa di distanza, di ripiegamento
interiore: è una pausa di riflessione quasi fisiologica,
che in qualche modo permette all’artista di organizzare
in un linguaggio più meditato e consapevole la sotterranea
vena di malinconia che resta, a mio parere, il tema di fondo
di tutta la produzione di Davide Minetti. Sono città
del sogno, della memoria, dell’immaginazione e, forse,
del desiderio, città ideali collocate in uno spazio
privo di dimensioni reali perché privo di elementi
che forniscano una scala di paragone dimensionale: infatti non ci
sono figure, piante, oggetti, solo strutture architettoniche
vagamente enigmatiche, goticamente erette verso cieli notturni.
Il dinamismo, l’energia dell’insieme sono affidati
a masse semplificate, a larghe campiture cromatiche, ma,
soprattutto, all’accostamento dei colori, deciso,
audace, in grado di attuare una comunicazione forte, centrata
solo su ciò che è essenziale . La trama pittorica
resta ricca, densa, materica, ma il soggetto tende ad una
semplificazione che, lo si capisce facilmente, è
destinata ad esasperarsi.
E’ l’inizio di un processo di "astrazione"
dal reale, e di "estrazione", dalla complessità
dei segni e dei temi, di ciò che, solo, è
veramente essenziale, significativo e necessario per trasmettere
un messaggio. L’attuale produzione artistica di Minetti,
va nella direzione di una sintesi rigorosa ma non rigida,
organizzata eppure spontanea, che riassume, impasta e rigenera
a nuova forma gli elementi della opere precedenti. L’artista
non ha più bisogno di un tema che coaguli gli elementi
formali: per anni ha voluto scovare, per usare le sue stesse
parole, "nei volti in penombra, nelle mani pesanti
e alterate, frammenti di note blues; ora non servono più
gli uomini, né i luoghi della musica. Esiste la musica
dipinta. Il suono..…"
Il risultato di questa
conquistata consapevolezza, di questa più avanzata
maturità espressiva, si concretizza, nelle opere
più recenti, in masse plastiche, forme complesse
e morbide, fatte di linee avvolgenti dai colori caldi, sintetizzate
in strutture dall’organicità fluente e spontanea:
armoniose composizioni concettuali lontane da ogni cerebralismo
e artificiosità, che paiono comporsi e mutarsi davanti
agli occhi dell’osservatore in ritmi lenti e sensuali:
è ancora il blues, che ha solo cambiato abito.
Vilma Torselli
|
Oggi, faccio mie le parole di Carlo Pesce, che scrive:
"Davide Minetti, meglio di altri, rappresenta la
presa di coscienza dell’informe. Il suo lavoro non
è condizionato dalla forma, non vuole essere un fenomeno
di esaltazione di essa. Si può dire che nella sua
opera la forma venga accantonata a vantaggio di un’operazione.
È chiaro che non si tratta di un declassamento, il
suo lavoro ha una consistenza operatoria che stabilisce
una serie di “funzioni” attribuite al colore
e/o al gesto. L’informe di Minetti è legato
alla sensazione, è un accumulo di esperienze che
aspettano di essere ordinate, è un universo che,
appunto, non assomiglia a niente ed attende di essere esplorato.
È una associazione libera che cerca di definire un’interiorità,
la sua, ma anche quella di chi osserva..
Ciò che affascina nelle tele di Minetti, dunque,
è che tutte cercano di farci scoprire una parte di
noi stessi. Viene in mente un pezzo suonato da Astor Piazzola,
Vuelvo al Sur, si intitola. Ciascuno di noi ha un suo sud,
un sud al quale ritornare, un sud dell’anima. Il lavoro
di Davide Minetti è fatto per raggiungere quel sud."
|