Non vera
e propria rappresentazione dal vero, il paesaggio, in pittura,
nasce dapprima come prodotto dell'immaginazione o della
ricostruzione ideale dell'artista. Solitamente, i pittori
combinavano elementi paesistici reali e riconoscibili con
altri di pura invenzione, oppure utilizzavano soggetti appartenenti
alla tradizione pittorica collocandoli e/o ambientandoli
in più estesi paesaggi. In tal modo, soggetti come
la fuga in Egitto, i santi eremiti, l'orazione nell'orto
ed altri analoghi di carattere biblico venivano fortemente
arricchiti da una poderosa rappresentazione della natura.
Nella seconda metà del Settecento s'impose tuttavia
un nuovo sentimento della natura, formato sui principi del
pittoresco e del sublime. I pittori si sentirono attratti
dall’intima risonanza che si può riscontrare
tra certe manifestazioni naturali e l'animo dell'osservatore
e vennero a crearsio i presupposti anche in pittura –
perché nell’esperienza letteraria la cosa era
già presente almeno dai tempi di Petrarca –
per la rappresentazione del cosiddetto paesaggio-stato d’animo.
Nella pittura di paesaggio così s'imposero da un
lato uno stile meticoloso, atto a raffigurare una natura
misteriosa o amena, dall'altro rappresentazioni intensamente
soggettive, talvolta perfino visionarie, vere e proprie
anticipazioni espressionistiche.
Nel recente ciclo di dipinti, emblematicamente denominato
“Terra”, Yulia Knish
parrebbe aver fatto la sua scelta: a prima vista, infatti,
i suoi meccanismi espressivi parrebbero quelli di una grande
e potente precisione quasi fotografica, scaturente –
si direbbe – da un poderoso sforzo realistico. Ma
poi, ad una lettura più attenta, ci si accorge che
anche il presupposto realistico, in essa, è in realtà
il frutto di un personale abbandono alla forza della visione,
al carattere simbolico delle forme e dei colori. La sua
pittura ha la potenza di un abbraccio a cui ci si lascia
andare confidenti nella bontà e nella grandezza di
ciò che ci viene incontro. Che non è mai solo
oggetto esteriore o apparenza fenomenica, mero mondo esterno
da dominare con i mezzi della riproduzione. Infatti, come
in un abbraccio si realizza quella compenetrante unità
di soggetti differenti, la pittura di Yulia si fa portatrice
di un’esperienza in cui soggetto e oggetto paiono
condividere una nuova forma di identità, quella della
creazione artistica, in cui vedente e veduto si fondono
in una nuova unità di senso.
In questo modo, gli scenari naturali, i panorami campestri
non sono, per Yulia, i contenuti definitori di un’afferenza
ad un genere; semmai sono – verrebbe da dire seguendo
Stendhal – un “piacere degli occhi”, un’esperienza
sensibile prima che una definizione teorica Ad un’esperienza
ci si apre, in essa si sperimenta la condivisione, con essa
si attua la com-prensione.
Questa pittura non è, dunque, mai solitaria.
Nei suoi scenari non vi si celebra l’assenza umana.
L’umano è lì, nella visione, nell’incontro-abbandono
alla potenza della natura. A cui, come in un abbraccio,
ci rimettiamo confidenti. |