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I CONFINI IL SEGNO LA TRASCENDENZA
di Alessandro Tempi
pubblicato il 04/04/2014 |
Non più un corpo separato dalla società sulla quale poter incidere, l’arte è dentro il mondo, anzi è il mondo, che essa non può migliorare, ma solo esibire. |
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Bruno Geda, i° premio concorso "Identità 4", scultura in legno, 2012 |
I confini lasciano il segno. Il segno del confine è la differenza. Esso esprime la differenza speciata - ovvero la differenza che si fa specie -, la ricerca dell’omogeneo, l’identificazione attraverso l’assimilazione, l’appartenenza che diventa regola. In questo modo l’ideologia della differenza assicura la compartimentazione dei gruppi, delle etnie, dei sessi secondo schemi la cui ostinata rigidità è, come ad esempio negli Stati Uniti, pari solo alla chiusura intellettuale con cui sono stati promossi e argomentati (1).
La sorte di questo termine ci mette dunque sotto gli occhi la frattura che pare esservi fra universo culturale e universo politico-sociale ed insinua seri dubbi sulle possibilità che tutti quei raggiungimenti della civiltà realizzati per tramite dell’arte, del pensiero e della letteratura siano realmente in grado di incidere sulla società guidando gli individui attraverso il caos dell’esistente. Abbiamo sempre pensato, del resto, che arte e cultura riscattassero in qualche modo la storia e che le parole che Orson Welles mette in bocca al suo cinico personaggio ne “Il terzo uomo” fossero in qualche modo vere (2). E questo può dirsi anche l’esito dell’idea formulata da Hegel nelle sue “Lezioni sull’estetica” circa la funzione moderna assegnata all’arte del proprio tempo, con le quali si sanciva appunto l’ascesa estetica dell’arte, vale a dire il suo dissolvimento o autosuperamento nell’estetica. Da lì in poi, l’arte si sarebbe progressivamente lasciata assorbire da tutti i discorsi possibili su di essa, sarebbe insomma esplosa fuori dai propri confini, rinunciando a regole, statuti e certezze. E fra queste ultime vi è senz’alcun dubbio la convinzione di poter incidere sulla società. Si potrebbe dire, insomma, che la dimensione metamorfica dell’arte – il suo esplodere fuori da tutti i confini – sia coestensiva proprio della difficoltà, percepita ed accettata, di agire nel profondo della società.
D’altro canto molto del fare artistico di oggi può essere letto anche come discorso sull’esperienza sensibile, sui suoi limiti ma anche, a ben vedere, sulle sue smisurate possibilità allorché l’immanenza del dato sensibile – il suo appartenere ancora all’ordine della molteplicità e quindi della natura – venga ricondotta a quella inesauribilità del senso che oggi costituisce l’unica trascendenza - in termini strettamente filosofici - di cui disponiamo – al di qua o al di là di un’opzione rigorosamente religiosa.
Solo che questa trascendenza, si direbbe, non è un luogo separato dal mondo o dalla storia. Questa trascendenza alita nel mondo ogni qual volta forma e senso prendono a dialogare nell’arte. E allora l’arte non è più un corpo la cui separatezza dalla società possa permettergli di incidere su di essa o di redimerla: l’arte è dentro il mondo, anzi è il mondo, che essa non può migliorare, ma solo esibire.
Potrà sembrare una conclusione riduttiva e consolatoria, ma non lo è. Perché intorno a questa azione, esibire, si gioca tutto il senso del fare arte oggi: che è sì sempre un mostrare, un mettere in luce, un rivelare, ma anche un far comparire, un convocare, un chiamare in causa, insomma (3). L’arte insomma non riscatta la storia, semmai la inchioda alle sue colpe.
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1) Su questo tema cfr. anche R. Hughes, La cultura del piagnisteo, Adelphi, Milano, 1993
2) Cito a memoria : “In Italia per trent’anni sotto i Borgia si ebbero guerre, terrore, assassini e spargimenti di sangue, ma fiorirono Michelangelo, Leonardo da Vinci ed il Rinascimento. In Svizzera la gente viveva in amore e fraternità. Gli svizzeri hanno goduto di cinque secoli di democrazia e di pace e che cosa hanno prodotto ? L’orologio a cucù !"
3) Il verbo esibire rimanda al latino exhibere, vale a dire ex-habere (porre o tener qualcosa fuori, davanti agli occhi di tutti, in pubblico).
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