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Futurismo
di Alessandro Tempi
pubblicato il 20/09/2009 |
Un'estetica del progresso
in chiave occultamente pessimistica ed antiumanistica, che
pone al centro non l'uomo, ma i mutamenti del progresso, il
puro divenire ateleologico, il movimento assoluto quale essenza
dinamica dell'età contemporanea. |
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Per cominciare una ricognizione storica del
rapporto arte/tecnologia nell'età contemporanea conviene
procedere dal Futurismo e questo non solo per gli esiti estrinseci
che questa particolare esperienza artistica ha determinato
nell'ambito tematico che ci interessa, ma soprattutto perché
col Futurismo siamo di fronte, forse per la prima volta nella
storia delle manifestazioni artistiche, ad un'esperienza pienamente
consapevole di se stessa(1) e compattamente autodeterminata
che trae sovversivamente i suoi valori ed i suoi fini da un
ambito teorico completamente nuovo e sostanzialmente estraneo
alle estetiche vigenti.
Ma questa lucidità intellettuale, con la sua carica
dirompente, costituisce anche il limite dell'esperienza futurista,
il cui febbrile lavorìo teorico-organizzativo - ricordiamo
i numerosi "manifesti" del movimento, le sue tumultuose
"serate", ma soprattutto l'atto esplicito di delega
all'arte del compito di interpretare i nuovi, ma ancora confusi,
valori antinaturalistici quali il movimento, il ritmo, la
durata, la luce artificiale, la velocità, la macchina
- risulta oggi oggettivamente di maggior interesse, ad eccezione
ovviamente di non pochi e felicissimi raggiungimenti pittorici,
in paragone ai complessivi esiti artistici conseguenti(2)
.
La lucidità teorica del Futurismo costituisce tuttavia
un limite anche in sé, allorché se ne giudichino
in profondità i suoi assunti: l'idea - condivisa del
resto con Surrealisti e Dadaisti - di abolizione dell'arte
per una sua integrazione nel contesto della vita(3)
sociale non può che condurre, nella versione marinettiana,
ad una visione fondamentalmente estetica della vita . Il che
equivale a dire, in altre parole, che per essere veramente
"estetica", la vita deve identificarsi nell'esercizio
di atti tecnici, siano essi la guida di "un'automobile
ruggente", il lavoro ritmico di un cantiere industriale
od un bombardamento aereo. L'estetizzazione dei mezzi tecnici
non riguarda infatti i possibili impieghi di tali mezzi nell'universo
sociale (il che potrebbe aprire ad un esame in un'ottica materialistica
su chi detiene quei mezzi e perché li usa), bensì
il loro valore cultuale tout court, il fatto insomma
che da essi si dispiega un simbolismo intellettuale che non
riguarda tanto lo specifico dell'arte, ma rimanda alla filosofie
individualistiche della volontà (Nietzsche e Sorel,
per esempio).
In questo senso, il Futurismo può essere pensato, oltre
le sue valenze propriamente - od impropriamente - artistiche,
nei termini di un'etica - od antietica - del progresso, ma
in chiave occultamente pessimistica ed antiumanistica: infatti
non l'uomo sta al centro della sua visione, ma i mutamenti
del progresso, il puro divenire ateleologico, il movimento
assoluto in cui i Futuristi colgono l'essenza dinamica dell'età
contemporanea. Un'essenza che non chiede di essere giudicata,
ma solo esperita individualmente, fatta propria, con-vissuta.
Nell'inconscio futurista, insomma, sembra agitarsi l'idea
hegeliano-positivista della Storia come compimento della Razionalità,
che perentoriamente ingiunge all'uomo un pronto adeguamento.
L'arte sembra la sfera d’esercizio privilegiata di questo
adeguamento, ma solo nella misura in cui, autoabolendosi,
diventa estetizzazione (il che equivale a giustificazione)
della vita.
Cerchiamo ora di enucleare alcuni aspetti significativi della
teoria futurista del rapporto arte/tecnologia limitandoci
all'esame di due importanti documenti enunciativi: i "Manifesti"
del 1909 e del 1910.
Il primo "Manifesto Futurista" appare pubblicato
a firma di Marinetti su "Le Figarò" di Parigi
il 20 febbraio 1909 e contiene almeno tre elementi salienti:
a) l'enunciazione di una correlazione
sistematica fra fenomeni che afferiscono alla sfera culturale
e fenomeni relativi all'infrastruttura tecnica, che pone precise
istanze intellettuali, prima di tutte quella di individuare
per le trasformazioni tecnologiche dei corrispettivi culturali.
È evidente tuttavia che qui "individuare"
significa "creare ex novo", giacchè Marinetti
sa benissimo che le forme culturali esistenti sono spaventosamente
arretrate rispetto a ciò che invece il progresso richiede
ed egli evidentemente non può accontentarsi di quelle
omologie di estrazione strettamente filosofica cui già
Picasso e Braque erano pervenuti (tanto che Barilli parla
di un Cubismo d'impostazione tecnomorfa influenzato dalle
teorie bergsoniane ed husserliane (4) );
b) l'ambivalenza nella definizione di una
tipologia tecnica preferenziale: nel "Manifesto"
si fa indistintamente riferimento agli ambiti della meccanica
(automobile, transatlantico, aeroplano) e della fisica elettromagnetica
(luce elettrica, radio, raggi X), il che rivela un'incertezza
sintomatica nella percezione culturale di queste innovazioni,
che mette a nudo la radice fondamentalmente retorica di tali
riferimenti; c) l'impostazione globalizzante
dell'approccio estetico futurista, che tende ad abbattere
ogni possibile barriera di genere fra le arti, ma soprattutto
ad ammettere nell'area della creazione artistica tutti quei
fenomeni introspettivi-esistenziali quali gli "stati
d'animo", secondo un gusto estetizzante già proprio
del Simbolismo francese e di D'Annunzio. È
a questa impostazione globalizzante che si deve del resto
la trasformazione dell'estetica futurista in ethos,
vale a dire in un modello comportamentale che diventa automaticamente
misura di giudizio e di conoscenza.
Un anno dopo appare sulla rivista triestina "Poesia"
il secondo "Manifesto Futurista", questa volta sottoscritto
anche da pittori quali U.Boccioni, G.Balla, G.Severini, C.Carrà.
La comparsa di questo secondo documento programmatico coincide
con l'esigenza di individuare mezzi più avanzati di
espressione rispetto al repertorio tecnico-artistico primonovecentesco
ed in tal senso esso appare per alcuni verso più importante
del primo, giacchè vi si attesta la necessita di discutere
proprio dei metodi espressivi, in primo luogo quell' "effetto
cinematografico" cui Balla attribuisce il compito di
interpretare il movimento decostruendolo analiticamente. Su
questo stesso tema si svolgerà del resto lo scontro
metodologico fra Balla (fautore di una concezione cinematica
e quindi meccanico-analitica del movimento) e Boccioni (interessato
invece alla fluidità di durata del movimento e quindi,
bergsonianamente, ad una visione sintetica come fatto di coscienza
e non di razionalità).
Ma fra i temi metodologico-espressivi discussi nel secondo
"Manifesto" vi è anche quello altrettanto
importante dello "spazio collassato"(5)
, mutuato dai Cubisti, per il quale i tradizionali punti di
vista geometrici inerenti alla superficie pittorica vanno
incontro al dissolvimento nell'accostamento dinamico e nella
reciproca compenetrazione dei corpi(6). Emblematico
di questa nuova concezione spaziale è appunto l'enunciato
"il moto e la luce distruggono la materialità
dei corpi" , in cui non si può non riscontrare
una significativa omologia con la teoria einsteiniana sulla
conversione della massa in energia. |
1 R. Barilli, L'Arte
Contemporanea, Milano, Feltrinelli, 1984.
2 M. Damus, L'arte del neocapitalismo, Milano,
Feltrinelli, 1979.
3 W. Benjamin, L'opera d'arte nell'epoca
della sua riproducibilità tecnica, Torino, Einaudi,
1967.
4 R. Barilli, cit.
5 Idem.
6 Idem. |
link:
Il Futurismo fra Firenze e Fiume |
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