L’arte, questa vecchia cosa (1), conferma, ogni qual volta essa si dà, il progetto/tentativo che interiormente la anima – e che coincide, prima ancora nel suo farsi portatrice di contenuti espliciti (2), con quella cosa sommamente umana e nel contempo sommamente patetica che è il (tentativo del) possesso del tempo e dello spazio - di manifestare con tutti i mezzi dell’esteriorità questa sua naturale interiorità misteriosa, impenetrabile, nascosta.
Nell’opera infatti da sempre assistiamo ad una sorta di coagulo in cui la narrazione si rivela paradossalmente come il pretesto (e quindi pre-testo) che consente implicitamente di raggiungere quel fine in-estetico per il quale l’uomo non ha altro mezzo se non, paradossalmente appunto, quello consentitogli dall’arte.
Per realizzare sempre più proditoriamente questo suo progetto, l’opera è inesorabilmente esondata in territori operazionali e fruizionali la cui dilatazione ha finito col porre in crisi il concetto stesso di fare e recepire l’opera, concepita non più come cosa ma come evento, accadimento, esperienza, coinvolgimento.
Se si ripercorre la storia delle avanguardie, ma soprattutto delle neoavanguardie (3), del resto, si scoprirà che sussiste un cammino evidente dell’idea dell’arte come qualcosa che esce fuori dalla cosa o non è più nella cosa. Questo pensarsi e estendersi al di là di confini meramente materiali – e del tutto teorici, a ben vedere – riconferma il progetto immateriale (4) (non semplicemente moderno o contemporaneo, ma, diremmo, perpetuo) dell’arte di conquistare il tempo e lo spazio, prima con la fissità dell’immagine, poi con l’immagine in movimento, poi ancora con l’accadere della pura conoscenza.
(1) Cfr, R.Barthes, L’arte questa vecchia cosa, in Catalogo della mostra Pop-art Palazzo Grassi di Venezia, Electa, Milano 1980.
(2) Ovvero quello che, nei termini proposti da Barthes per la fotografia, riguarda l’atteggiamento dello studium, vale a dire dell’aspetto prettamente razionale della fruizione.
(3) A partire dagli anni Sessanta con Fluxus e attraverso gli Happenings e gli Environments fino alle recenti teorizzazione sull’Ambient, sui Soundscapes e sulla Sound Art, gli artisti hanno tentato la via del coinvolgimento fisico, oltre che psicologico e razionale, del pubblico, inglobandolo nell’opera come parte costituiva di esso.
(4) Un progetto, questo, che implicitamente pare riconfermare la natura creaturale e quindi precaria dell’uomo che, ciò nonostante, tenta anchetemjerariamente di andare al di là dei propri confini.
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Montevarchi (AR), Lucia Baldini&Ongakuaw
Spazio OST - Officina Studio Tempi
2 Aprile 2011
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