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Sezione a cura di Alessandro Tempi
14 FEBBRAIO
di Alessandro Tempi
pubblicato il 14/02/2021
Una apparente contraddizione fra i lavori accademici e quelli di romanziere, mediata dalla passione per il teatro o meglio per la scrittura teatrale.

Il 14 febbraio di cinquantuno anni fa uscì negli Stati Uniti il romanzo “Love Story” di Erich Segal. Quel giorno ovviamente non era stato scelto a caso, perché faceva parte di quella che oggi si chiamerebbe, in maniera un po’ altisonante, “strategia di marketing” adottata dalla Paramount per lanciare il film omonimo che sarebbe uscito dieci mesi dopo.
In realtà, la storia di come “Love Story” venne scritto è alquanto inconsueta e vale la pena di raccontarla. Erich Segal, l’autore, era un americano di Brooklyn che aveva già lavorato come sceneggiatore tutt’altro che di second’ordine. Al suo attivo vantava un film diretto da Michael Winner e un altro da Stanley Kramer, ma aveva anche collaborato, nello stesso periodo, alla sceneggiatura di “Yellow Submarine”, il film d’animazione di George Dunning sui Beatles.

La leggenda racconta che Segal avesse scritto anche un’altra sceneggiatura a cui teneva molto. Era una storia d’amore, ovviamente, fra uno studente di Harvard e una studentessa del Radcliffe. Ma qui le cose si ingarbugliano: a detta di alcuni, la storia non interessava gli studios di Hollywood, così Segal venne convinto dal suo agente a trasformarla in un romanzo. O forse furono gli studios stessi a convincere Segal a farne un romanzo. Fatto sta che il 14 febbraio 1970 Harper & Row fece uscire il libro, che fu un successo immediato e rimase nelle classifiche di vendita del New York Times per 41 settimane, vendendo 10 milioni di copie con traduzioni in 33 lingue. Niente male per un libro scritto durante le vacanze di Natale. Ad ogni modo, migliore pubblicità per il film non avrebbe potuto esserci.

Erich Segal non era ovviamente uno qualunque. Si era addottorato in discipline classiche a Harvard conseguendo i tre cicli, era autore di numerosi saggi e studi sul teatro greco e latino e avrebbe insegnato, oltre che a Harvard, anche a Yale e Princeton. I suoi libri prima di “Love Story” erano stati su Plauto e Euripide e se uno oggi vuole farsi un’idea delle sue competenze, basta che dia un’occhiata alla sua scheda biobibliografica sul Database of Classical Scholars della Rutgers University.

Viene da chiedersi perché a un classicista venga in mente di scrivere storie d’amore per i cinema; sarebbe come se da noi la Marcolongo o Gardini cominciassero a scrivere per la televisione. Ma la cosa - si sa - non sarebbe poi così pellegrina neanche qui e del resto la risposta potrebbe essere perfino ovvia. In realtà, forse, più che un legame fra gli interessi specifici – sul teatro antico – del Segal classicista e quelli del Segal screenwriter e novelist – sul cosiddetto romantic drama, perché poi di romanzi, d’amore e non, ne scrisse ancora otto -, vi è un’aperta contraddizione che può essere spiegata o forse solo ricondotta alla sua passione per il teatro o meglio per la scrittura teatrale.

Mentre attendeva alla tesi del master a Harvard, Segal aveva trovato il tempo di scrivere assieme a un suo compagno di corso una commedia musicale che traeva ispirazione dalla vicenda di Elena di Troia, intitolata “Sing, Muse!” la quale ebbe perfino un breve passaggio a Off Broadway. Era il 1961 e più d’uno, nell’ambiente, è pronto a sostenere che senza “Sing Muse!” l’anno dopo non ci sarebbe stato “A Funny Thing Happened on the Way to the Forum “, di Stephen Sondheim, che fu un successo travolgente sia a teatro che nella successiva versione cinematografica di Richard Lester.
“Sing Muse!” portò fortuna anche al suo autore, però. Le buone recensioni che ebbe gli assicurarono l’attenzione di un agente letterario che lo introdusse nel mondo del cinema. Cominciò così la sua carriera di screenwriter.
Forse Segal aveva sempre voluto scrivere, se è vero – come ha scritto la figlia - che da bambino usava creare con la fantasia personaggi che lo facessero sentire meno solo. Non esiste quindi una contraddizione fra i suoi lavori accademici e quelli di romanziere. In fin dei conti, disse una volta a un intervistatore, “anche Machiavelli scrisse tre commedie”.

 


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