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Testi di Vilma Torselli su "Antithesi", giornale online di critica d'architettura.
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American Art 1961-2001 la storia dell'arte moderna negli Stati Uniti tra due momenti decisivi della storia americana, la guerra del Vietnam e l'attacco alle Torri Gemelle. |
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Milano, apre il Museo delle Illusioni, con incredibili installazioni, illusioni visive, giochi e rompicapi. |
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Concorso artistico Lucca Biennale Cartasia 2022, tema conduttore di questa edizione “The white page” (pagina bianca), le infinite possibilità per gli artisti di raccontarsi tramite le opere in carta.
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I vincitori del Premio Pritzker per l'architettura 2021 sono Anne Lacaton e Jean-Philippe Vassal: talento, visione e impegno per migliorare la vita delle persone. |
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Al Palazzo Ducale di Genova, dal 9 settembre 2021 al 20 febbraio 2022 grande mostra di Maurits Cornelis Escher. |
All'estero
Parigi, all’Espace Lafayette-Drouot "The World of Bansky”, su 1200 mq. esposte un centinaio di opere del più famoso street artist del mondo. Fino al 31 dicembre 2021.
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A R T I S T E S S E,
6 artiste-donne-artiste contemporanee a cura di Ferruccio
Giromini
dal 27 febbraio all' 8 marzo 2009 |
Una mostra collettiva che raccoglie
le opere profondamente "femminili" di sei artiste-donne,
o donne-artiste, italiane contemporanee. |
Nell'ambito
della sezione Tasselli d'Arte – Oltre il Cinema
del XVI SGUARDI ALTROVE Film Festival,
una mostra collettiva raccoglie le opere profondamente "femminili"
di sei artiste-donne, o donne-artiste,
italiane contemporanee:
Emanuela Biancuzzi, Daniela Brambilla, Teresa Morelli,
Monica Palumbo, Giovanna Torresin, Debora Vrizzi. |
Presentazione:
Dover distinguere tra artisti-uomini e artiste-donne sa ancora
e sempre un po' di retroguardia. O di indefinibile progressismo
(ma quale? paleofemminista? neomaschilista? o viceversa?).
Oppure di ormai frusta political correctness. O di ambigua
accettazione di ghetti esistenti e immarcescibili. Insomma,
comunque la si rigiri, si rischia di fare brutta figura.
E va bene, oggi ci sentiamo di correre questo rischio. Perché
ci sembra di poter sostenere che esistono donne artiste che
sono, sul serio, artiste come donne, in quanto donne, e forse
addirittura soprattutto per donne, quasi senza possibilità
di travisamenti.
In che senso? È presto detto: il loro universo di riferimento
è essenzialmente femminile. Ad esso si ispirano; quello
interrogano e indagano; è di esso che scelgono di parlare
con altre donne, che lo condividono, lo conoscono bene e possono
capirle meglio. Ciò non toglie, ovviamente, che accanto
e tutt'intorno vi siano anche esseri umani in genere più
pelosi, con voci più basse e roche e provvisti di una
certa appendice inferiore (e le differenze potrebbero continuare,
con divertimento di alcune e magari innervosimento di altri,
ma qui ci fermiamo). Ci sono anche maschi disinteressatamente
interessati alla psiche femminile, certo. Così come
ci sono femmine maliziosamente benevole nel volersi rivolgere
anche a maschi. Non saranno la maggioranza, né queste
né quelli, ma ci sono. Il dialogo tra i sessi, per
fortuna, ha il diritto e la possibilità di esistere.
Ciò che tuttavia vogliamo raccogliere insieme stavolta,
al di là delle possibili interpretazioni conflittuali,
è una pattuglia di pugnaci eroine sparse sul fronte
interno: ovvero donne che usano l'arte per guardarsi allo
specchio, sia individualmente sia come appartenenti a quella
mezza umanità in genere meno pelosa, con voci più
alte e acute e provvista di un certo paio di rigonfiamenti
superiori (e le differenze potrebbero continuare, con divertimento
di alcuni e magari innervosimento di altre, ma qui ci fermiamo).
In altre parole, donne-artiste-donne, tali totalmente e innegabilmente;
o addirittura, come le chiamerebbe una cantautrice catanese,
"artistesse".
Senza incamminarsi a cercare troppo lontano, subito troviamo
una pittrice che sa andare molto a fondo, forse perché
viene dalla pratica sommessa dell'illustrazione, e proprio
perciò ha meno pretese universalistiche ma sa guardarsi
con più attenzione intorno. Daniela Brambilla
(Milano 1950) dipinge figurativo, ma con un furore interno
che trasfigura ciò che raffigura. È il caso
della serie di soggetti cui si sta dedicando di recente, accomunati
da presenze femminili – adulte e anche bambine –
colte in momenti problematici e interrogativi, in particolare
confrontandosi sul tema della vergogna. La vergogna del proprio
corpo, quella indotta da sistemi educativi repressivi un tempo
comuni. Cioè, in definitiva, la vergogna del proprio
Io non solo fisico. Quella che si fatica eccome a saper superare.
Quella che però si deve imparare a vincere comunque,
per abbandonare l'avarizia di sé e invece scoprire
la bella generosità del sapersi dare. Ad esempio, anche
con pennellate potenti che svelano qualche proprio segreto.
Un discorso per certi versi simile porta avanti da anni, con
encomiabile caparbietà, Giovanna Torresin
(Usmate Velate 1954). Le sue ricerche, che le hanno dato notorietà
internazionale, vertono soprattutto sul difficile rapporto
tra l'interno dell'involucro del sé e l'esterno. Il
primo si presenta nudo e indifeso, bisognoso pertanto di qualcosa
che lo protegga ulteriormente dalle possibili ingiurie che
la realtà ha in serbo nei suoi confronti. Celebratrice
pura della corazza, questa artista si è costruita pertanto
una serie di seconde pelli più resistenti di quella
naturale, se ne è virtualmente rivestita e ha provato
ad urlare così la sua paura e il suo coraggio. Uno
stadio di tale composito percorso ha comportato addirittura
la sua trasfigurazione in Madonna, come quelle dipinte su
tavola per esempio nel Cinquecento, col Bambinello in braccio
o al seno, ma bisognosa di protezione persino da lui. Quietamente
inquieta.
Anche Monica Palumbo (Matera 1972) usa come
campo di battaglia il proprio corpo. Un corpo che la società
contemporanea, imperativa, chiede essere in determinati modi
– o forse sarebbe meglio dire modi "preordinati"
– e che ogni donna invece sente essere "diverso":
come il proprio personale, soggettivamente, non come quello
considerato oggettivo ma in realtà spersonalizzato.
Così l'artista, in fotografia come in pittura, si prova
a reinterpretare ruoli che potrebbero anche essere di qualunque
donna, e anche i suoi, sebbene non lo siano. E, quando si
rende conto di mercificarsi, spingendo l'acceleratore mentale
arriva a immaginare parti del proprio organismo fisico come
nutrimenti materiali per bocche sconosciute. Piatti prelibati
per orchi affamati, con l'acquolina in bocca. È un
"ruolo sociale" anche questo?
Quanto a reinterpretare ruoli altrui, tra le artiste italiane
Debora Vrizzi (Cividale del Friuli 1975)
non è seconda a nessuno. Di questa nostra Cindy Sherman
nazionale è rimasta famosa la personale interpretazione
fotografica della storia di Cappuccetto Rosso, dove la parte
del Lupo veniva recitata dallo stesso padre dell'artista,
inondando di irridente freudismo un canovaccio già
grondante psicoanaliticità di suo. Non contenta, la
fotografa-regista si mette e rimette in scena su set che sceglie
drammatici, anzi tragici, per poi ribaltarli in amabilmente
sarcastici. Dopo essersi rifatta come Biancaneve tra i sette
nani, ha lasciato la favola per buttarsi nella storia e nella
cronaca, rievocando le morti di donne-icone pop e rimorendo
ogni volta per ognuna di loro: come Maria Antonietta sulla
ghigliottina con una brioche in bocca, come Marilyn Monroe
in odor di Chanel N° 5, come Madre Teresa di Calcutta
incartapecorita (e incinta!)… Tra il serio e il faceto,
così, questa donna di carattere riscrive sul proprio
corpo la storia delle donne storiche, delle donne di carattere.
Donna al quadrato, dunque.
Compagna di merende della bruna Vrizzi è la sua amica
gemellina bionda Emanuela Biancuzzi (Cividale
del Friuli 1970). Insieme, dichiarandosi figlie ideali dello
scomparso multiartista friulano Piermario Ciani, hanno dato
origine al dinamico duo The Cianographic Sisters: "Trattasi
di due promettenti nevrotiche (…) particolarmente determinate
ad affermare, affermarsi, imporre i propri contenuti nell'ambito
di un'arte come ricerca introspettiva. Biancuzzi lavora con
la pittura, l'illustrazione, il collage di immagini e sentimenti
usando graficamente i materiali e traendone nuove coinvolgenti
variazioni". In solitaria, la bionda si dedica anema
e core alla cinofilia e alla difesa della vita animale dovunque
e comunque. Legata a doppio filo all'immagine narrativa, riporta
sulle due dimensioni gli incubi di una Doña Quijote
al galoppo lancia in resta contro le tante, troppe brutture
comportamentali che feriscono gli animi gentili. Non si offende
se la si chiama "schi-zoo-frenica", anzi ringrazia
e se ne vanta.
Infine, ultima ma non ultima, Teresa Morelli
(Genova 1978) irride pure lei, beata tra le donne. Beata,
nel senso che se ne frega della decenza. Tra le donne, nel
senso che le osserva e le disseziona con la giusta cattiveria
femminile e non gliene lascia passare una (ma neanche agli
uomini, anzi! e neppure ai mezz'e mezzo, vedi il suo strepitoso
trans abbigliato da Biancaneve alle prese con una mela-cuore
assassina). Irride, nel senso che il suo sguardo brilla di
allegra cattiveria ogni volta che qui o lì riesce a
cogliere un qualunque peccatuccio di vanità, di orgoglio,
di presunzione, di superficialità. Con tratto libero
neopop, sovranamente incurante delle belle maniere, racconta
una realtà volgaruccia e sconclusionata come se si
fosse in un cartone animato o in un fumetto. Anche la sua
pittura sghemba, dunque, deliziosamente pettegola, è
definitivamente contemporanea.
Ferruccio Giromini |
Milano
Corso Venezia 63
Casa del Pane, Casello Ovest di Porta Venezia
inaugurazione: venerdì 27 febbraio,
ore 19
Per informazioni:
tel. 02.75778712
info@sguardialtrove.org
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Daniela Brambilla, Da sola,
olio su tela, 2006
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Emanuela Biancuzzi, Illustrazione
per l'isola,
tecnica mista su carta, 2008
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Giovanna Torresin, Senza titolo,
stampa lambda
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Monica Palumbo, Exposition,
part. installazione 2009
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Debora Vrizzi, I Miss You
stampa lambda, 2007
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Teresa Morelli, Transgenico,
acrilico su tela, 2007 |
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