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Roma, "Donna. Avanguardia
Femminista negli anni ’70"
di Katia Almerini
fino al 16 maggio 2010
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In mostra le opere della Collezione
d’Arte viennese Sammlung Verbund , poche artiste
scelte dal curatore secondo il "principio della profondità
piuttosto che dell’estensione". |
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A
Roma le artiste femministe della Collezione Verbund
E’ in corso fino al 16 Maggio alla Galleria Nazionale
d’Arte Moderna la mostra "Donna. Avanguardia
Femminista negli anni ’70", che ospita le
opere della Collezione d’Arte viennese Sammlung
Verbund , curata da Gabriele Schor.
Negli anni Settanta, quando il movimento femminista esplose
nella società, anche il mondo dell’arte ne
fu travolto. Le artiste iniziarono a realizzare un’arte
che denunciava la società patriarcale e parallelamente
lavorarono per la ri-appropriazione dell’identità
femminile, mettendo spesso al centro delle poetiche il proprio
corpo. |
Il femminismo spostò il
punto di vista dell’arte stessa, analizzando la storia
dell’arte passata (riscoprendo le artiste dimenticate
e inaugurando lo studio della rappresentazione della donna
nella pittura), proponendo nuove riflessioni estetiche e lottando
per trovare spazio nel mainstream dell’arte o in alcuni
casi per creare un’alternativa espositiva.
Non tutte le artiste che lavoravano su tematiche riconducibili
al femminismo si dichiaravano femministe e viceversa non tutte
le artiste femministe attiviste volevano produrre un’arte
che potesse identificarsi unicamente con le tematiche del
nuovo movimento.
L’universo espressivo della definizione Arte Femminista
è dunque vasto, sfaccettato e dai bordi sfumati. Il
problema maggiore, a questo punto, sembra essere, come si
domandava una delle prime storiche dell’arte femministe
Lucy Lippard, che cos’è l’arte femminista?
La mostra Donna. Avanguardia Femminista negli anni ’70,
risponde alla domanda con una tesi presentata da Gabriele
Schor (curatrice, lo ricordiamo, della Collezione Verbund).
Schor riprende la teoria di Lawrence Alloway, che nel 1976
parlò di Avanguardia Femminista, dal momento
che le artiste femministe volevano cambiare le forme sociali
esistenti nell’arte, come è tipico delle avanguardie.
A sostegno della tesi sull’avanguardia, Schor sottolinea
nel catalogo le due novità principali portate dalle
artiste: offrire un punto di vista originale nella storia
delle arti visive, quello femminile, e anticipare stilisticamente
e tecnicamente l’Arte Postmoderna. Il femminismo, per
Schor, non è da rintracciare unicamente nella produzione
di un’arte più dichiaratamente di protesta, ma
nello scardinare e rifondare la secolare rappresentazione
della donna.
La Collezione Verbund di Vienna sceglie poche artiste, in
quello che Schor definisce il principio della profondità
piuttosto che dell’estensione, che vuole offrire
una maggior possibilità di creare riscontri e confronti
tra le artiste.
Le artiste esposte sono Helena Almeida, Eleanor Antin, Renate
Bertlmann, Valie Export, Birgit Jürgenssen, Leslie Labowitz,
Suzanne Lacy, Suzy Lake, Ketty La Rocca, Ana Mendieta, Martha
Rosler, Cindy Sherman, Annegret Soltau, Hannah Wilke, Martha
Wilson, Francesca Woodman, Nil Yalter; sia artiste note che
di recente riscoperta.
La maggior parte delle artiste affida il discorso alla fotografia
e al video (la cui storia è priva di una pesante tradizione
secolare maschile), lontano dalle scelte tradizionali come
la pittura o la scultura.
Francesca Woodman, americana che visse anche in Italia (alla
quale è stata dedicata pochi mesi fa una grande retrospettiva
a Siena), è presente con un significativo corpus fotografico,
in cui emerge l’uso poetico affidato al suo corpo in
una fusione con l’ambiente circostante, solitario, decadente
ed elegante.
In stretto dialogo con le fotografie di Woodman, troviamo
i lavori dell’austriaca Birgit Jürgenssen. Anche
qui il soggetto principale delle fotografie è il suo
corpo. Le atmosfere si fanno surreali, ma se Woodman si caratterizza
per una carica drammatica, Jürgenssen gioca con la provocazione
e l’ironia, utilizzando anche la parola.
Una considerevole sezione è dedicata alle opere giovanili
di Cindy Sherman, ai suoi infiniti travestimenti dove gioca
con le icone femminili che si sono susseguite nelle mode per
poi trasformarsi anche in uomini, ragazzi, neri, bambole,
una sorta di corpo caleidoscopico della società di
massa.
Al travestimento ironico e dissacratore del tradizionale ruolo
femminile, ricorrono anche Renate Bertlmann e Martha Wilson.
Le artiste che mettono il loro corpo davanti all’obiettivo
fotografico, nonostante realizzino mise en scène
differenti, veicolano attraverso la fotografia un’immagine
inconsueta del corpo femminile: lo astraggono dalla realtà
quotidiana, lo nascondono, altre volte lo travestono, lo moltiplicano
in uno spazio isolato.
Per Eleanor Antin e Ana Mendieta, invece, il corpo serve soprattutto
a contrastare l’ideale di bellezza che la donna deve
ricercare nella società, la prima con i travestimenti
maschili, la seconda con le deformazioni facciali contro un
vetro.
Nella mostra è presente anche un nucleo di artiste
che hanno lavorato su tematiche più legate a un femminismo
militante, carico di denunce sociali, attraverso opere dal
forte impatto. Due nomi, Leslie Labowitz e Suzanne Lacy in
“Mourning and in Rage” del 1978, la performance
di un funerale in onore di tutte le donne vittime di violenza
e stupri. Provocatoria e brutale è la performance di
Valie Export, l’artista austriaca che rifiuta la veste
di vittima e si arma di mitra mentre espone i genitali in
“Aktionshose:Genitalpanik” (1969).
Artista pioniera nel denunciare la mancanza di libertà
della donna nella cultura musulmana è la turca Nil
Yalter, presente con l'opera “La Femme sans Tete
ou La Danse du Ventre”. Nel video, una danza del
ventre cela una pratica ancora attiva negli anni Settanta
nelle zone rurali della Turchia: alle donne non fertili un
imam scriveva sul ventre delle frasi e in caso di lettere
errate, aveva il diritto di cancellarle passandoci sopra la
propria lingua.
Occorrono delle considerazioni sulle scelte curatoriali.
La GNAM espone un nucleo di opere appartenenti a una collezione
privata aziendale (Corporate Art Collection) di una
ditta energetica austriaca. Siamo quindi di fronte a una selezione
di opere “precostituita”. Fin qui non ci sarebbe
nulla di male se non fosse che la GNAM, Museo Nazionale, ospitando
una mostra con il titolo Donna Avanguardia Femminista
negli anni ’70, ci suggerisse l’idea di una
mostra a carattere storiografico, ampia ed esaustiva. In realtà
questa mostra pretende di storicizzare una produzione vasta
e sfaccettata come è l’arte femminista, affidandosi
invece a una selezione unicamente di diciassette artiste.
Trattandosi di un museo nazionale, non si può negare
l’imbarazzo nel non trovare testimonianza delle artiste
italiane femministe che furono numerose, combattive e precorritrici
di tendenze artistiche successive. Ospitare la Collezione
Verbund avrebbe potuto essere un’occasione per dare
vita a un confronto con le italiane e favorire la ri-emersione
di una tradizione artistica femminista italiana, spesso trascurata
dalla critica.
Dalle parole della Soprintendente alla GNAM, Maria Vittoria
Marini Clarelli, le artiste in mostra sono esaustive rappresentanti
del movimento femminista artistico:“Se la scelta
delle diciassette protagoniste della mostra dipende dunque
dalla loro inclusione nella raccolta viennese, il panorama
è però sufficientemente ampio da permettere
di cogliere il fenomeno nella sua estensione internazionale,
dall’Europa agli Stati Uniti”. (1)
Diciassette artiste di cui una sola italiana e alcune americane
(proprio Italia e Stati Uniti ebbero tra i movimenti femministi
più importanti al mondo) rappresenterebbero sufficientemente
il femminismo nell’arte degli anni Settanta.
In realtà si dimenticano le artiste femministe italiane,
o coloro che di femminismo trattarono nelle loro opere, come
Cloti Ricciardi, Carla Accardi, Tomaso Binga, Suzanne Santoro
(presente nel catalogo della mostra), LeoNilde Carabba, Silvia
Truppi, Teresa Montemaggiori, Stephanie Oursler (americana
che viveva in Italia), AnnaMaria Colucci, Anna Oberto, Mirella
Bentivoglio, Marcella Campagnano e molte altre. |
(1) Dal Catalogo Donna Avanguardia Femminista
negli anni ’70. Dalla Sammlung Verbund di Vienna, a
cura di Gabriele Schor, Verona, Electa, 2010. |
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