Aprile è per Milano il mese dell’arredamento e del design, un evento che interessa tutta la città grazie a due manifestazioni (dal 9 al 14 aprile), il Salone del Mobile al polo fieristico di Rho dedicato all’arredamento e il Fuorisalone (Milano Design Week), esposizione diffusa autopromossa e autogestita che coinvolge varie location urbane e si occupa prevalentemente di design.
Termine tra i più abusati nel campo delle discipline creative contemporanee, termine anglosassone breve ed efficace che il nostro dizionario traduce prolissamente come “Progettazione di un oggetto che si propone di sintetizzare funzionalità ed estetica”, grazie all’ "Art & Craft" di William Morris prima, e poi alla Bauhaus di Weimar, il moderno design nasce all’inizio del ‘900 dal lavoro in equipe di personaggi straordinari (fra i quali Kandinsky, Klee, Mondrian, Moholy-Nagy, Mies van der Rohe), finalizzato alla creazione di prodotti funzionali, semplici, accurati, in grado di essere compresi ed utilizzati dalle masse ed aderenti alla moderna realtà tecnologica ed industriale: progettati per essere prodotti a macchina, in serie ed in quantità illimitata a qualità costante, questi prodotti “di design” diventano così disponibili a prezzi contenuti per tutti, non più solo per un’esigua elite che si può permettere l’acquisto di costosi pezzi unici.
Frutto della mentalità positivista del suo tempo, il design cerca il modo di far convergere in maniera ottimale e sinergica tutte queste premesse teoriche, in una ricerca non necessariamente estetica (semmai etica) nella quale confluiscano aspetti formali, culturali e soprattutto tecnici, a definire un rapporto di reciproca tensione tra funzione e forma, tra materia e idea, tra tradizione ed innovazione, insegnando alla gente a guardare l'oggetto utile quotidiano con occhi nuovi, a capire che se un apriscatole, oltre che funzionale, è anche bello, ciò non guasta e si può fare senza incidere significativamente sul suo costo.
In realtà il termine 'design' sta per 'industrial design', nasce cioè corredato di un aggettivo che gli attribuisce in modo categorico una natura precisa di prodotto pesantemente connotato dall'aspetto tecnologico.
La successiva semplificazione linguistica denuncia lo snaturamento operato dalla moderna società consumistica, in base al quale, oggi, tutto ciò che ha una forma inedita o accattivante, non necessariamente una funzione, che riempie una nuova nicchia delle sterminate offerte del consumo, che è curioso ed originale, che meglio si pubblicizza e più proficuamente si vende, diventa automaticamente un “prodotto di design”, esonerato da ulteriori valutazioni di qualsiasi tipo e persino dall’aderenza al significato originale del termine.
Non si capirebbero altrimenti la seduta-tappeto di Sophie de Vocht, la poltrona Proust di Mendini, i nanetti Attila e Napoleone di Stark, il tavolino ‘Erba voglio’ di Toppino, la VM Valeria Marini Home Collection con capitonné di Swarovski ecc., prodotti disparati, collocabili in ambiti disparati, progettati da autori disparati, con costi da pezzi unici dove l’accessibilità economica da parte delle masse e quindi la divulgazione di un (buon)gusto diffuso per un’utenza il più allargata possibile (in sintesi le finalità del design correttamente inteso) vengono platealmente ignorate.
Scontato che "non ci sono più i designer di una volta", la sequenza logica di una corretta operazione di design sarebbe infatti questa: progettazione /produzione industriale-seriale/ abbattimento dei costi/ accessibilità al mercato, aggiungendo oggi nuova attenzione allo smaltimento, all’inquinamento, all’impatto ambientale, alla riciclabilità del materiale utilizzato.
Qualunque oggetto può essere design quando raggiunge questi fini, sia che esprima tendenze di elite che popolari, è design per il modo in cui tutti i fattori si sintetizzano e non per una presunta ed opinabile bellezza formale, specie se accompagnata, come spesso accade, da una evidente inutilità funzionale.
Valutando secondo questo concetto ciò che il design ci propone oggi, anche nei vari saloni, fuori saloni, mostre e biennali, davanti a sperimentazioni selvagge fine a sé stesse ed estemporanei divertissement di estrosi solisti egocentrici, viene da chiedersi se quanto vediamo in bella mostra è ciò che coprirà i nostri bisogni di domani o se è ciò di cui potremo fare a meno…… da subito.
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