Divisa tra l'ex tribunale di San Firenze, dove verrà allestita la parte multimediale con spazi interattivi e didattici sulla vita di Pollock, e Palazzo Vecchio, dove, nel Salone dei Cinquecento, è collocato il "Genio della Vittoria", monumentale scultura marmorea eseguita da Michelangelo probabilmente nel 1532/33, questa mostra celebra una curiosa accoppiata, un accostamento a dir poco audace tra l’inventore del dripping e protagonista carismatico dell’action painting, e nientemeno che Michelangelo Buonarroti, figura chiave del Rinascimento italiano.
Presenti sei disegni di Pollock prestati dal Metropolitan Museum di New York, opere grafiche provenienti dalla Pollock Krasner Foundation, altre opere di varia provenienza sia pubblica che privata, risalenti ad un intervallo di tempo che copre il decennio ‘30/’40 ("Panel with Four designs", "Square composition with horse", "The water Bull", "Earth Worms" ed altri).
Ad indicare il flebile fil rouge che collegherebbe, nelle intenzioni degli organizzatori, questi due artisti, il titolo della mostra ''La figura della furia'', espressione desunta da uno scritto di Giovanni Paolo Lomazzo, pittore e critico cinquecentesco, che in termini di furia creatrice parla della raffigurazione della forma umana nell’arte di quel tempo, ovviamente figurativa, perché, si sa, allora l’astrattismo non l’avevano ancora inventato.
Ancora più audace il salto logico che accosta il tema michelangiolesco del non-finito con l’informalità delle composizioni all-over di Pollock, due linguaggi che in realtà si muovono in direzioni opposte.
Nel primo caso si tratta di una scelta volontaria e consapevole, intellettuale e culturale, pervasa da concezioni neoplatoniche, per esprimere il non-detto o non-dicibile, per chiamare all’appello la forma che dorme dentro il masso marmoreo, per articolare un discorso taciuto che diventa essenziale, scarno, allusivo, riassuntivo, pregno di significati.
Scrive infatti Michelangelo: "Non ha l’ottimo artista alcun concetto/c’un marmo solo in sé non circoscriva/col suo soverchio, e solo a quello arriva/la mano ch’obbedisce all’intelletto".
“Il non-finito michelangiolesco ha un significato preciso: il blocco sbozzato lascia solo intravedere l’immagine che l’artista viene liberando dalla materia, mentre l’idea compiuta è irraggiungibile perché è eterna; l’uomo può soltanto lottare per tendere verso quella meta, ma è cosciente dell’impossibilità per lui, finito, di giungere all’infinito. Nel non-finito si concretizza il pessimismo michelangiolesco: la constatazione dell’urto fra l’intuizione dell’eterno e la caducità di tutte le cose, fra la ragione che Dio ci ha concesso e la pochezza dei risultati.” (Alessandro Tempi, “Il Neoplatonismo e le arti visive nella Firenze del quattrocento”)
Nel secondo caso siamo davanti all’esatto contrario, ad un fiume in piena, un disordinato surplus di informazioni, un incontenibile caos psicologico straripante oltre i limiti della tela, un’emozione senza filtro descritta, espressa, vissuta e riversata sull’osservatore in tempo reale.
L’uno supera i confini precisi e delimitanti della forma, soverchiata dal protagonismo della materia che “gronda attorno all'anima”, in una sintesi minimalista che si alimenta “negli abbozzi di descrizioni di particolarità che si rifiutano di venire generalizzate", per citare parole di Gilbert Lascault ("Ecrits timides sur les visible" 1979).
L’altro proclama la negazione della forma, l'impossibilità e l'incapacità di comunicare attraverso l'immagine, definitivamente travolta dalla spinta irrazionale, drammatica, improvvisatrice, angosciata, vitalistica di una interiorità e di un segno fuori controllo.
Altro flebile trait d’union, il fatto che Pollock, in gioventù, si sia documentato sui disegni di Michelangelo e ne abbia anche copiati alcuni, come del resto qualunque studente di qualunque accademia di belle arti del mondo, su taccuini oggi custoditi al Metropolitan Museum e divenuti improvvisamente ed opportunamente preziosa testimonianza di un background che, in realtà, sarebbe difficilmente rintracciabile, se non ne desse menzione Lisa M. Messiger in una pubblicazione dello stesso Metropolitan Museum.
Tanto basta perché si pretenda di instaurare un legame teso a dimostrare, come sottolineato nella presentazione della mostra, che “Pollock introdusse un modo totalmente nuovo di dipingere, partendo dalla profonda comprensione della grande personalità artistica di Michelangelo e della sublime tragica dimensione della sua opera”.
Ma mi faccia il piacere, mi faccia!
|