Non si stupisca chi pensa di averla vista al Museo del Novecento a Milano, non si tratta di un raro caso di ubiquità, ma di una delle 4 (o forse 5) versioni realizzate, né si stupisca chi pensa di aver già visto questa mostra 5 anni fa al Tate Modern a Londra, è praticamente la stessa, peraltro già esposta anche in altri luoghi, seppure con titoli leggermente diversi.
Il sistema è ormai noto e collaudato da tutti i grandi musei americani: le opere, il modello espositivo, il layout museale, l’organizzazione dell’indotto passano da una città all’altra, da una nazione all’altra, da un continente all’altro, la stessa mostra si trasferisce invariata in ogni parte del mondo, la mostra sulla Bauhaus (settembre/ottobre 2009) è passata da Berlino a New York, la mostra di Tiffany (2009/2010) da Parigi a Montreal, la mostra di Hopper (2010) da Milano a Roma a Losanna, itineranti anche la mostra su Hans Hartung e quella, appunto, sul Futurismo italiano, secondo i percorsi degli accordi finanziari e delle convenzioni economiche sottoscritte dalle multinazionali dell’arte.
Guggenheim, marchio di una holding con una efficiente rete museale in molte parti del mondo, da New York a Bilbao a Venezia a Berlino (dove è in joint-venture con Deutsche Bank), è una vera e propria multinazionale internazionale che gestisce ed espone a rotazione nelle sue sedi la quasi totalità delle opere delle avanguardie del ‘900, dal Surrealismo al Cubismo, all'Astrattismo alla Pop Art, generando un bilancio da capogiro per ciò che riguarda l’indotto, la vendita di cataloghi, di riproduzioni e di gadget a tema nei vari shop museum, guggenheim store, café museum ecc.
Specialmente in America, parimenti a qualsiasi prodotto commerciale l’arte dipende dall’organizzazione economica, come testimonia la recente nascita ed il successo del fenomeno dell'art exchange, una borsa in cui si possono acquistare azioni di opere d'arte o quote di fondi di investimento in arte: non deve quindi stupire l'attenzione che i grandi musei americani riservano al ritorno economico, poiché gli investimenti, a differenza di quanto avviene in Italia, prevedono un contributo pubblico minimo e sono sostenuti da privati con un'ottica tesa al profitto.
Nella fattispecie, il lato positivo di questa situazione sta nella libertà di giudizio sulle indubbie contraddizioni del Futurismo e sulla sua chiara colorazione politica che a lungo, in Italia, ha pesato sul giudizio estetico inframettendo qualche censura di troppo. La mostra seleziona ed organizza per la prima volta in una grande retrospettiva le fasi storiche del movimento sottolineandone i meriti, gli esiti e le influenze con un'analisi critica ben argomentata nel corposo catalogo, integrato dalla tavola rotonda “Futurism at the Guggenheim” organizzata pochi giorni prima dell'apertura della mostra, dall’Italian Academy for Advanced Studies di New York.
Va sottolineata una felice coincidenza: nel 1943 Solomon Guggenheim, collezionista delle opere di antichi maestri ed iniziato all'arte moderna europea proprio attraverso la conoscenza delle avanguardie del '900, incarica Frank Lloyd Wright della progettazione del Guggenhim Museum, che verrà inaugurato nel ’59.
Capolavoro dell'architettura organica, forma geometrica simbolo del divenire e dell'itinerario della conoscenza umana verso la divinità, luogo magico di grande suggestione mistica e spirituale, oggi la grande spirale ascendente della struttura architettonica appare la location perfetta per ospitare le opere futuriste, rimandando a quell'idea di dinamismo spaziale che, partendo da Umberto Boccioni, Frank Lloyd Wright recupera in questa sua opera quando fissa nella materia, in un capolavoro assoluto dell’architettura moderna, spinte ed ideali partiti da così lontano, radicati nel Futurismo italiano.
Il cerchio si chiude, per qualche misteriosa via il Futurismo ha trovato la sua casa. |