Sessant'anni fa la morte di Jackson Pollock (1912-1956), figura chiave dell'Espressionismo astratto americano, del quale inventa e sperimenta tecniche, tematiche e suggestioni, a cui si deve la nascita dell'action painting, della composizione all over, della tecnica del dripping, della pittura gestuale.
Simbolo perfetto dell'artista ribelle, sintesi di genio e sregolatezza, perennemente sopra le righe sia quando dipinge che quando, semplicemente, vive, Pollock è attratto dallo studio dell'inconscio, dalla psicanalisi junghiana, dalle filosofie orientali, dagli eccessi, dalla libertà, dall'improvvisazione, affamato di conoscenza e di invenzione, onnivoro nella sua ricerca di nuovi stimoli da qualunque fonte provengano: la cultura dei nativi americani, il muralismo di Siqueiros, la collaborazione con i 18 colleghi 'irascibili' della 'Scuola di New York', lo studio dei disegni dei classici italiani, tutto per Pollock è scoperta, curiosità, contaminazione, rivisitazione.
Muore come è sempre vissuto, correndo, sfidando, rischiando, terminando il suo percorso terreno con un mortale incidente d'auto mentre guida ubriaco verso la sua casa di Long Island.
A soli 44 anni.
Poche le iniziative dedicate alla sua opera individuale, la critica ha preferito ricordarlo attraverso varie collettive, alcune già concluse ed una visitabile fino al 18 settembre, affiancandolo all'opera di artisti come lui oggi diventati famosi e che con lui hanno dato vita e strutturato in movimento un'esplosione culturale di grande impatto nella storia dell'arte americana, per la quale l'Espressionismo costituì all'epoca quasi una religione sostitutiva in un momento di grande crisi sociale, spirituale e morale.
L'Espressionismo nasce infatti principalmente dalla disperazione e dalle riflessioni degli artisti sulla crisi dei valori creativi legata al particolare periodo storico, l'America degli anni '40/50, sull'esigenza di rifondare la mitologia e la simbologia primitiva di una nazione con poco passato alle spalle e molto futuro davanti tutto da inventare, una nazione dalla cultura giovane, libera e spontanea alla ricerca di una sua specifica identità, che sceglie di esprimersi attraverso un linguaggio nuovo di esasperato soggettivismo, il linguaggio dell'inconscio con il quale l'opera d'arte, tramite fra materia e anima, vuole portare in superficie le motivazioni dell'istinto più nascosto, allineandosi alle posizioni filosofiche contemporanee di matrice esistenzialista.
Se questi sono i parametri che definiscono il delicato passaggio del baricentro culturale di quegli anni dalla vecchia Europa, carica di tradizione, all'emergente, giovane America senza passato, allora si può dire che nessuno più di Pollock abbia contribuito a transitare la pittura americana dall’automatismo psichico del Surrealismo ad un linguaggio autonomo ed autoctono, il primo autenticamente americano.
Fino al 18 settembre 2016 la mostra "Love the American Dream", a cura di Matteo Vanzan, resa possibile dai numerosi prestiti da collezioni pubbliche e private, espone alcune opere di Pollock accanto ad altri artisti tra i più noti degli anni del "sogno americano", fra i quali Matthew Barney, Jean-Michel Basquiat, Robert Indiana, Sam Francis, Robert Rauschenberg, Keit Haring, rappresentando, data la coincidenza cronologica, anche un omaggio all'artista in occasione della ricorrenza della sua morte. |