In arrivo a Milano una grande mostra monografica, "Keith Haring. About Art", a cura di Gianni Mercurio, che propone 110 opere dell'artista, compresi alcuni lavori su carta di grandi dimensioni e molte opere inedite o mai esposte in Italia provenienti da collezioni pubbliche e private di tutto il mondo e dalla 'Keith Haring Foundation'.
Figlio di un disegnatore di film d’animazione che riconobbe e incoraggiò le inclinazioni artistiche del figlio ancora bambino, Keith eredita la passione per i cartoons e per la grafica dei fumetti, studia grafica alla Ivy School of Professional Art di Pittsburg nel periodo 1976/78, poi, trasferitosi a New York, si iscrive alla School of Visual Art (SVA) dove studia semiotica con Keith Sonnier, entrando in una comunità artistica colta e raffinata, libera e alternativa, che tuttavia abbandonerà senza essersi iscritto ufficialmente ad alcun corso di laurea.
E forse è proprio allora che decide: "Voglio restare per sempre un dodicenne".
Spinto verso più stimolanti esperienze dal suo temperamento di artista visionario e sopra le righe, utopistico difensore degli emarginati, mosso da una inarrestabile carica idealistica e poetica, eterno bambino perso in narrazioni fiabesche, Haring, seppure pessimo studente, tuttavia da autodidatta porta avanti autonomamente lo studio della storia dell'arte, di Paul Klee, Jackson Pollock, Mark Tobey, Jean Dubuffet, Henri Matisse, Christo Javacheff, restando profondamente influenzato dai lavori di Pierre Alechinsky, interessandosi all'antropologia culturale e alla semiotica, leggendo i saggi di Roland Barthes e Umberto Eco e accogliendo le suggestioni di culture tribali, dei geroglifici egizi, delle civiltà precolombiane, del calligrafismo orientale.
La sua vita pubblica è nota, l'amicizia con Warhol, Basquiat, la Pop Art, il graffitismo, la controcultura anticapitalistica, il successo anche commerciale negli anni '80 con l'apertura del primo "Pop Shop" (1986) e la commercializzazione di T-shirt, poster, gadget, stampe, oggettistica e tessuti d'arredo, con le partecipazioni alla Biennale del Whitney Museum, alla XLI Biennale di Venezia, alla Nouvelle Biennale di Parigi.
Poi, nel 1988, la diagnosi della malattia che lo condurrà a morte prematura a solo 31 anni.
Indubbiamente Keith Haring, vera e propria icona di una stagione culturale trasgressiva e provocatoria, è tutto ciò, ma è anche altro.
La mostra vuole indagare proprio l'aspetto meno popolare o forse più sottovalutato di un artista che non è stato ancora completamente scoperto, muovendosi alla ricerca delle fonti del suo background culturale e della elaborazione che egli ne ha compiuto per addivenire ad una personale sintesi in un linguaggio fortemente innovativo ed originale.
Questa nuova chiave di lettura instaura una sorta di dialogo a distanza tra presente e passato, rivelando nel confronto l'eco di una cultura posseduta e assimilata che emerge con riconoscibili tracce dall'immaginario fantastico di un adulto-bambino, nei disegni infantili dagli spessi contorni neri, nelle figure piatte, bidimensionali, campite con colori primari, nel groviglio minuzioso di forme antropomorfe, nella rivisitazione di antichi archetipi che fanno parte dell'inconscio di ciascuno di noi.
Il curatore della mostra, Gianni Mercurio, conosce a fondo la materia, da anni si interessa al lavoro di questo artista che, nonostante la sua grande notorietà, è in grado di riservare ancora delle sorprese.
Così descrive il suo incontro con Haring: "Ho incontrato Haring nel 1983, quando venne a dipingere al negozio di Fiorucci e mi sembrò un piccolo Cristo. Da sempre questa sua duplicità mi ha attratto: l'artista anarchico, prolifico, senza schemi da una parte e dall'altra un isolamento radicale, imperniato sull'arte come missione educativa e accessibile" (Corriere della Sera, agosto 2012).
"La paura del nucleare, la guerra fredda e l'Aids - prosegue Mercurio - riportavano a galla una strana fede, che in Haring si manifesta come fede sociale, fiducia nel mondo e negli uomini".
Con la mostra, "da segnalare - come da comunicato stampa - anche l’allestimento emozionale che propone molti rimandi al contesto in cui visse Haring". |