Logos è parola infinita, eterna, terribile: infinita perché priva di limiti, eterna perché continuamente mutando rinnova per sempre il suo principio di autoaffermazione, terribile perché insondabilmente oscura e indecifrabile. Una mostra d'arte che porti questo titolo dovrà farsi carico di ogni ambivalenza, incontrollabile contraddittorietà, di ogni continuato dissidio ed incoerente ribaltamento di senso, conservando leggerezza di sguardo, maturità percettiva e dolce mistero sognante.
E' quanto accadrà all'interno degli spazi dell'Hotel Logos di Forte dei Marmi dal 16 al 31 agosto 2017, quando verranno presentate le opere di una serie di artisti contemporanei – tutti di area toscana o emiliano-romagnola - inclini, più o meno consapevolmente, a sottolineare una propria, peculiare direttiva artistica, evitando di disperdersi nel magma ribollente del tempo nostro che tutto fagocita e tutto rigetta. Secondo le dottrine platoniche con il termine “logos” si definiva infatti l'individuazione della differenza, del dettaglio, del segno distintivo che definisce un oggetto nella sua identità, nella sua realtà specifica.
Tra pittura e scultura sarà dunque un itinerario a stazioni, a stasimi, molteplici e variegati stimoli in cui riconoscere – di volta in volta – il carattere fondante ed imprescindibile che informa il lavoro di ciascuno degli artisti selezionati.
Ci saranno allora i dipinti di Giuseppe Bedeschi e quel profumo di mare che si sente da lontano, le sue barche come gusci vuoti, svuotati, mai abbandonati, piuttosto corazze di chi ha combattuto il tempo e vive con la memoria dei giorni – anche futuri – nell'estrema nostalgia di un viaggio inesausto, viaggio di ritorno, di riandata, frammenti riaffiorati in cui lo stile è l'uomo ed il silenzio umido e livido la contingenza che ne deriva.
Paolo Buzzi si destreggia invece all'interno dei suoi paesaggi floreali con la raffinata eleganza di un danzatore orientale, dai movimenti misurati e precisi: la visione d'insieme risulta dolcemente enigmatica, di un mistero che è cristallo da infrangere per penetrarne il segreto.
Lo scultore Rino Giannini pare porsi quasi come un inventore della storia, un felice manipolatore e creatore di nuove leggende scavate nella dura pesantezza del marmo in cui il proprio logos interiore diviene principio razionale e critico, contrapposto al mythos restituitoci dal tempo: si pensi al suo “Pegaso scosso”, attualissima versione di un animale libero per eccellenza che spicca dalla vertigine con la leggerezza sottile che solo la pietra sa dare.
Accettare la pittura di Fabio Guglielmi significa invece lasciarsi condurre tra le profondità dell'animo, scavalcando gli scalini che conducono alla quintessenza della sostanza che continua, si disperde e si dilata nel diversamente simigliante. La nettezza lucida con cui i colori si accostano e si separano costruisce naturalmente forme dinamiche che influiscono sulle nostre percezioni psichiche e sugli esiti spirituali che ne scaturiscono. Sottraendosi alla pura immagine visiva, l'artista si spinge verso una metafora spirituale direzionata oltre differenti livelli d'esperienza, in continua e perpetuata espansione.
Le piccole installazioni di Elena Modelli preparano mondi surreali, stravaganti, iperbolici, viottoli e crocicchi in cui sarà normale incontrarsi con chiocciole variopinte che ci scrutano curiose, dalle antenne svagatamente vigili: un'ipotesi di elevata leggerezza visiva che riconduce alla lezione di grandi nomi del fumetto nostrano come Altan e Jacovitti.
Se logos è l'epifania reale e tangibile di quanto si agita e si dibatte nella mente, nulla è più aderente a tale definizione del lavoro di Eleonora Ronconi: la sua pittura eversiva, stratificata nell'incastro di molteplici identità sovrapposte e narranti si rispecchia e trova il giusto contrappunto in una scultura dinamicamente lieve e leggiadra, danzata in un ballo non mai concluso, vivificante, in cui l'occorrenza è la radicalità che ne trasfigura l'incedere del passo.
Gli acquerelli di Scara (Andrea Scaranaro) colorano la mente di una intatta visionarietà quasi lisergica: nelle orecchie vanno i Pink Floyd di “Meddle” e di “A saucerful of secrets”, mentre gli occhi inseguono quel mescolarsi liquido di capitolazioni cromatiche, forme che si rincorrono e si assommano, si assottigliano in fili di pensieri e labirinti di incamminamenti veloci, calmi, espressi nell'approssimazione sognante dell'impromptus, del non finito, finestra spalancata sull'inatteso.
Unico artista a presentare una serie di elaborazioni fotografiche, Liscivia (alias Andrea Tabellini) mette alla prova le nostre reazioni psicologiche attraverso le sue “Visioni Rorschach”: la funzione psicometrica che le macchie di inchiostro simmetriche avevano nel contesto dell'esperimento medico diviene pretesto e scaturigine di un lavoro raffinatissimo e complesso in cui la capacità evocatrice delle immagini si eleva sopra la mutevolezza magmatica che ne camuffa la natura, dissimulandone i confini.
Simbologie mitiche e spirituali si intuiscono scrutando gli occhi brillanti e cristallini dei ritratti dipinti da Paola Tassinari: sguardi adamantini, puri, incorrotti, alcuni domandano liberazione, altri riscatto di un nuovo cielo pagato in monete di virtù.
La scultura di Mario Zanoni approda ad uno stato metamorfico entro il quale radicamento e sradicamento rimangano nei limiti di una medesima dimensione, costruita e vanificata dalla naturale oscillazione di forze primigenie di misteriosa, ignota alterità. Le sue forme polverizzano progressivamente il corredo estetico neo classico sgretolandolo, ribaltandolo, seguendo le direttive mutevoli di un'accelerazione sintetica dei punti di vista in un movimento simultaneamente centrifugo e centripeto.
Infine Liè (Lietta Morsiani) – che avrà una sezione dedicata all'interno della Casa Museo Ugo Guidi – infonde nelle sue terrecotte la purezza intatta del femminino ancestrale unita alla disgregazione ineludibile della materia. Le forme sono incavo, protezione e svelamento al tempo stesso, nascita e morte della natura viva delle cose: viva perché ogni disfacimento ricostruisce sé stesso, la donna – terra, sangue, madre, universo che crea il tempo rigettando via Urano dal proprio ventre – si ibrida a volte in forme zoomorfe, percorre sinuosità impreviste fino a scontrarsi e perdersi nella sacralità di un nido, muta, urlante gli squarci profondi di una notte portata al rogo dalla propria alba.
A corredo e a supporto della mostra, Spazio Dinamico Arte di Firenze e Galleria Ess&errE di Roma proporranno anche una selezione di opere di artisti storicizzati tra i quali Mino Maccari, Ernesto Treccani, Sergio Scatizzi, Remo Squillantini, Giampaolo Talani, Luca Alinari, Antonio Possenti, Vinicio Berti, Gualtiero Nativi, Luigi Montanarini, poi ancora Carlo Nangeroni, Aldo Mondino, Lucio Del Pezzo, Emilio Scanavino. Tutti in un continuato rapporto dialettico, che segua i percorsi e gli intrecci di un praticato logos contemporaneo. |