1. Al di là di una generica appartenenza
a quella benedetta mai ben definita arte giovane
e a quella benedetta mai ben definibile area di pensiero sociale
ed estetico antagonista, cosa mai potrà accomunare
le tre personalità creative che condividono questa occasione
espositiva, pensata non come collettiva ma come
personale a tre?
Hanno età diverse, operano differentemente tra loro,
sfornano prodotti che non si somigliano. Eppure,
eppure, a loro volta sono prodotti di un unico
tempo questo nostro, italiano, europeo, planetario,
cosmico, di oggi. E condividono alcune±molte conoscenze,
influenze, baldanze, screanze dei produttori dimmagini
contemporanei (quelli pensanti, certo).
Sono insomma tre effetti di cause comuni: come capita sempre,
generazione dopo generazione, ai figli legittimi del proprio
tempo. Forse a loro volta saranno cause di effetti simili,
o forse no; ma non è questo limportante. T-R-E
resta un bel numero.
Moschettieri? Porcellini? Amigos? Virtù teologali?
Spigoli acuti di un medesimo triangolo scaleno.
2. Questi tre sono qui assieme, perché pensano per
immagini. Ciascuno a modo proprio, grazie al cielo; senza
mai sbirciare il compito del momentaneo compagno di banco,
quando cè, laggiù al discreto riparo delle
ombre in fondo allaula; ma sempre prendendosi in pieno
le proprie responsabilità, con lorgoglio di chi
può dire tranquillo ebbene sì, sono stato
io. (La domanda poteva ben essere chi ha scarabocchiato
i gabinetti?).
E cosa sono le arti visive, in fondo, da sempre, se non un
compiaciuto affinamento dellesercizio innato dello scarabocchio?
Come a scuola, come per strada, come sui giornali, come negli
infiniti nodi della Rete, come alla radio, in tv, al cinema,
su un palco, su una cassetta di frutta rovesciata, e perfino
con un mitra in mano, lesigenza è sempre la stessa:
marcare il territorio, come con getti mirati durina.
Lasciare un segno. Farsi riconoscere. Come incidere con un
temperino in un ascensore: I was here.
Eppure, eppure, qui scatta la trappola: qui il senso ci sorprende
con un salto mortale e si contraddice. La tag, più
o meno arzigogolata e più o meno leggibile, che marchia
i confini delle derive metropolitane, si fa riconoscere solo
per se stessa, mica svela il suo artefice. È un nickname
(quel che si chiama con parola più lunga e meno pronunciabile
pseudonimo), ovvero una maschera: per paradossalmente
affermare solo lesistenza della propria mascheratura,
quasi come sottolineare la presenza della propria assenza.
3. Ma importa che Squaz sia Pasquale Todisco? Che Paper Resistance
sia Sandro Micheli? Che Sonosolo sia Filippo Pirini? Certo
che no, chi se ne frega dei nomi, è quel che si fa
che importa. Ma invece ha importanza, e tanta, che tutti e
tre abbiano scelto di non firmarsi correntemente col proprio
nome e cognome anagrafico, ma di ri-crearsi piuttosto una
identità vergine di artisti.
Sono loro, e non sono loro.
Forse così sono più liberi. Di rappresentare
il loro/nostro tempo e le loro/nostre baldanze/screanze. Uno
può urlare tranquillo una rombante e inebriante solitudine
giovanile. Laltro può farsi tranquillo partigiano
di una personale Resistenza cartacea, civile. Il terzo può
abbandonarsi tranquillo al piacere introflesso ma estroflesso
dello squazrabocchio spettacolare.
Un po per celia e un po per non morir, è
così che diviene possibile raccontarsi, raccontare,
ragionare, insegnare, giocare, pregare, inveire, predicare,
contraddire, sognare, quasi senza accorgersene. Con una comunicazione
pungente, a volte immediata e a volte sotterranea, ma empatica,
che va oltre le parole.
Eppure, eppure, cè dellaltro. La verità,
se esiste, viene sempre a galla un po per volta, e si
traveste volentieri da menzogna. Non sapremo mai tutto. Procediamo
per indizi. A loro è concesso se e quando ne
hanno voglia di fornircene qualcuno di tanto in tanto;
a noi spetta se stiamo al gioco, se cinteressa
la posta poi provare a decifrarli
Tutti affollati
intorno al tavolo, la partita resta perennemente aperta.
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