Sono due i modi fondamentali attraverso i quali
si esprime la fotografia: la documentazione di eventi, e la
rappresentazione per immagini di situazioni e stati d'animo.
Per entrambi i modi espressivi la fotografia digitale rappresenta
quanto di meglio un operatore o un artista possano desiderare:
nel primo caso per la rapidità di trasmissione dei dati
e per la loro istantanea verifica sul posto, evitando così
la perdita degli eventi nella loro immediatezza, nel secondo
caso perché la fotografia è efficace rappresentazione
di uno stato d'animo attraverso la sintesi delle espressioni
del soggetto e dei giochi di luce che ne esaltano i valori.
In generale la fotografia come rappresentazione della realtà,
costituisce una forma d'arte pur raggiunta, a differenza della
pittura (ad esempio ) di cui è parente prossima, con
un mezzo tecnologico diverso dai pennelli, dalle spatole e
quant'altro.
Questa rappresentazione del reale è stata perseguita
con mezzi via via sempre più evoluti, che a partire
dai primi dagherrotipi giungono alle moderne fotocamere digitali,
che altro non sono se non l'evoluzione tecnologica dei primi
tentativi di ritrarre immagini.
I detrattori o semplicemente coloro che non capiscono questa
metamorfosi tecnica, sono decisamente al di fuori della mentalità
del mondo moderno e della sua conseguente nuova visione della
realtà.
Il rifiuto del digitale, praticato ancora da molti fotografi
sia dilettanti che professionisti, rappresenta, con un po'
di irriverenza per il paragone forse sproporzionato, quello
che la fisica dei quanti ha rappresentato e rappresenta per
molti degli addetti alla fisica: crea un certo disagio ed
una incredulità difficili superare, occorre una grande
elasticità mentale per poter assimilare un concetto
così nuovo e stravolgente rispetto ai canoni classici.
Non ritengo corretto, parlando di immagine fotografica, l'uso
del termine "realtà oggettiva" in quanto
gli stessi sviluppi della fisica moderna ne vietano l'esistenza:
ciò che un individuo vede è semplicemente ciò
che egli pensa di vedere, o meglio ciò che il suo cervello,
attraverso i suoi neuroni (certamente condizionati dalla sua
conformazione genetica e dal suo apprendimento), elabora
e traduce in immagini e sensazioni.
Non vale quindi l'asserto che possa esservi nella fotografia
alcuna "manipolazione" della realtà, quanto
il concetto che quello che per un individuo sembra "reale"
per un altro appaia artefatto o manipolato, semplicemente
perché quest'ultimo ha una visione diversa dall'altro.
Valgono, nella pittura, a sottolineare la grande diversità
percettiva della realtà in individui diversi, gli esempi
emblematici di artisti famosi, da Van Gogh a Picasso a Munch,
per restare in ambito in un certo senso figurativo, per non
parlare della pittura aniconica, astratta ed informale nella
quale non c'è neanche il lontano tentativo di rapportarsi
alla realtà comunemente intesa.
Sull'affermazione di Baudrillard "Il virtuale ha ucciso
la realtà. Senza lasciare tracce", si può
dire che evidentemente il concetto di realtà di questo
intellettuale è alquanto strano, come lo sono del resto
le sue tesi socio-filosofiche.
Nell'epoca odierna, alle macchine digitali, sempre più
sofisticate nella lettura dei dettagli della luce nei suoi
colori visibili, si sono affiancati dei software che permettono
di elaborare le immagini ottenute con la tecnica digitale
nei modi più impensati con migliaia (a dir poco) di
possibilità.
Questi software non sono, come possono apparire a prima vista
a coloro che non ne conoscono i segreti, semplicemente dei
programmi di ritocco, ma sono essi stessi il complemento delle
macchine digitali, ne fanno quasi parte integrante.
Permettono infatti di apportare quelle modifiche alla luce,
al contrasto, alla stessa inquadratura dell'immagine, senza
peraltro snaturarne i contenuti, in quanto loro stessi fanno
parte dello strumento di creazione fotocamera-software che
permette a un buon fotografo di ottenere quello che in tempo
poteva ottenere "sul campo", a volte per pura fortuna
o a seguito di lunghi appostamenti mattinieri per avere buone
condizioni di luminosità: naturalmente più il
programma è sofisticato e più andrebbe usato in
modo appropriato, per non incorrere in certe forme di aberrazione
che, a volte, sono pur sempre condivise dal fotografo che
le sottoscrive.
Ora, che male c'è se è possibile ottenere tutto
questo con un po' più di "fatica" intellettuale
e meno logorio fisico ed economico?
Naturalmente il provetto fotografo dovrebbe essere in grado
in prima persona di usare gli strumenti di cui dispone, certo
se un fotografo di "vecchio stampo" che sa scattare
fotogrammi (anche a centinaia, se professionista) poi lascia
la loro elaborazione ad un tecnico che sa usare il software,
il risultato non può essere che quello che i detrattori
della elaborazione delle immagini vanno dicendo.
Del resto è un'usanza abbastanza consolidata nel campo
professionale, vuoi per mancanza di tempo, vuoi per incapacità
pratica, quella di delegare ad altri lo studio delle luci,
lo sviluppo delle pellicole e la loro stampa (per parlare
della fotografia cosidetta "nobile" , alias reflex
), lo facevano anche i grandi della fotografia, Cartier Bresson
compreso, il quale si limitava a scattare in continuità
lasciando ad altri compiti meno nobili, supervisionando poi
il tutto e riservandosi la scelta dei migliori fotogrammi.
Artifici per migliorare i fotogrammi sono sempre esistiti
(scelta della sensibilità delle pellicole, filtri e
altri ), usati dai fotografi anche in fase finale nella scelta
delle soluzioni di sviluppo dei negativi, nella mascheratura
nella fase di impressione e nel tipo di supporto cartaceo
per la stampa, questo naturalmente per il classico bianco/nero,
perché per il colore la fase di sviluppo e stampa (manuale)
era oggetto di molti possibili interventi da parte del tecnico
di laboratorio, (evito accuratamente di menzionare il metodo
di sviluppo e stampa in automatico al quale si rivolgono solo
i neofiti).
Oggigiorno esiste il cosiddetto laboratorio "service"
al quale qualcuno, privo di mezzi idonei (es.Photoshop della
Adobe) può rivolgersi inviando semplicemente il fotogramma,
lasciando quindi ad operatori esterni la realizzazione dell'immagine
nel suo stato finale.
La vera fotografia dovrebbe essere scattata e completata, stampa compresa, dallo stesso fotografo, affinché
questi possa in ogni momento ed in ogni fase esecutiva intervenire
secondo la sua sensibilità e la sua creatività,
perché di creazione si tratta, in quanto espressione
originale di un personale modo di vedere e pensare le immagini
della realtà.
|