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A favore del digitale
di Amedeo Romanò
pubblicato il 26/04/2007
Ciò che un individuo vede è semplicemente ciò che egli pensa di vedere, quello che per un individuo sembra "reale" per un altro appare artefatto o manipolato semplicemente perché quest'ultimo ha una visione diversa dall'altro.
Sono due i modi fondamentali attraverso i quali si esprime la fotografia: la documentazione di eventi, e la rappresentazione per immagini di situazioni e stati d'animo.
Per entrambi i modi espressivi la fotografia digitale rappresenta quanto di meglio un operatore o un artista possano desiderare: nel primo caso per la rapidità di trasmissione dei dati e per la loro istantanea verifica sul posto, evitando così la perdita degli eventi nella loro immediatezza, nel secondo caso perché la fotografia è efficace rappresentazione di uno stato d'animo attraverso la sintesi delle espressioni del soggetto e dei giochi di luce che ne esaltano i valori.

In generale la fotografia come rappresentazione della realtà, costituisce una forma d'arte pur raggiunta, a differenza della pittura (ad esempio ) di cui è parente prossima, con un mezzo tecnologico diverso dai pennelli, dalle spatole e quant'altro.
Questa rappresentazione del reale è stata perseguita con mezzi via via sempre più evoluti, che a partire dai primi dagherrotipi giungono alle moderne fotocamere digitali, che altro non sono se non l'evoluzione tecnologica dei primi tentativi di ritrarre immagini.
I detrattori o semplicemente coloro che non capiscono questa metamorfosi tecnica, sono decisamente al di fuori della mentalità del mondo moderno e della sua conseguente nuova visione della realtà.
Il rifiuto del digitale, praticato ancora da molti fotografi sia dilettanti che professionisti, rappresenta, con un po' di irriverenza per il paragone forse sproporzionato, quello che la fisica dei quanti ha rappresentato e rappresenta per molti degli addetti alla fisica: crea un certo disagio ed una incredulità difficili superare, occorre una grande elasticità mentale per poter assimilare un concetto così nuovo e stravolgente rispetto ai canoni classici.

Non ritengo corretto, parlando di immagine fotografica, l'uso del termine "realtà oggettiva" in quanto gli stessi sviluppi della fisica moderna ne vietano l'esistenza: ciò che un individuo vede è semplicemente ciò che egli pensa di vedere, o meglio ciò che il suo cervello, attraverso i suoi neuroni (certamente condizionati dalla sua conformazione genetica e dal suo apprendimento), elabora e traduce in immagini e sensazioni.
Non vale quindi l'asserto che possa esservi nella fotografia alcuna "manipolazione" della realtà, quanto il concetto che quello che per un individuo sembra "reale" per un altro appaia artefatto o manipolato, semplicemente perché quest'ultimo ha una visione diversa dall'altro.

Valgono, nella pittura, a sottolineare la grande diversità percettiva della realtà in individui diversi, gli esempi emblematici di artisti famosi, da Van Gogh a Picasso a Munch, per restare in ambito in un certo senso figurativo, per non parlare della pittura aniconica, astratta ed informale nella quale non c'è neanche il lontano tentativo di rapportarsi alla realtà comunemente intesa.
Sull'affermazione di Baudrillard "Il virtuale ha ucciso la realtà. Senza lasciare tracce", si può dire che evidentemente il concetto di realtà di questo intellettuale è alquanto strano, come lo sono del resto le sue tesi socio-filosofiche.

Nell'epoca odierna, alle macchine digitali, sempre più sofisticate nella lettura dei dettagli della luce nei suoi colori visibili, si sono affiancati dei software che permettono di elaborare le immagini ottenute con la tecnica digitale nei modi più impensati con migliaia (a dir poco) di possibilità.
Questi software non sono, come possono apparire a prima vista a coloro che non ne conoscono i segreti, semplicemente dei programmi di ritocco, ma sono essi stessi il complemento delle macchine digitali, ne fanno quasi parte integrante.
Permettono infatti di apportare quelle modifiche alla luce, al contrasto, alla stessa inquadratura dell'immagine, senza peraltro snaturarne i contenuti, in quanto loro stessi fanno parte dello strumento di creazione fotocamera-software che permette a un buon fotografo di ottenere quello che in tempo poteva ottenere "sul campo", a volte per pura fortuna o a seguito di lunghi appostamenti mattinieri per avere buone condizioni di luminosità: naturalmente più il programma è sofisticato e più andrebbe usato in modo appropriato, per non incorrere in certe forme di aberrazione che, a volte, sono pur sempre condivise dal fotografo che le sottoscrive.

Ora, che male c'è se è possibile ottenere tutto questo con un po' più di "fatica" intellettuale e meno logorio fisico ed economico?
Naturalmente il provetto fotografo dovrebbe essere in grado in prima persona di usare gli strumenti di cui dispone, certo se un fotografo di "vecchio stampo" che sa scattare fotogrammi (anche a centinaia, se professionista) poi lascia la loro elaborazione ad un tecnico che sa usare il software, il risultato non può essere che quello che i detrattori della elaborazione delle immagini vanno dicendo.
Del resto è un'usanza abbastanza consolidata nel campo professionale, vuoi per mancanza di tempo, vuoi per incapacità pratica, quella di delegare ad altri lo studio delle luci, lo sviluppo delle pellicole e la loro stampa (per parlare della fotografia cosidetta "nobile" , alias reflex ), lo facevano anche i grandi della fotografia, Cartier Bresson compreso, il quale si limitava a scattare in continuità lasciando ad altri compiti meno nobili, supervisionando poi il tutto e riservandosi la scelta dei migliori fotogrammi.
Artifici per migliorare i fotogrammi sono sempre esistiti (scelta della sensibilità delle pellicole, filtri e altri ), usati dai fotografi anche in fase finale nella scelta delle soluzioni di sviluppo dei negativi, nella mascheratura nella fase di impressione e nel tipo di supporto cartaceo per la stampa, questo naturalmente per il classico bianco/nero, perché per il colore la fase di sviluppo e stampa (manuale) era oggetto di molti possibili interventi da parte del tecnico di laboratorio, (evito accuratamente di menzionare il metodo di sviluppo e stampa in automatico al quale si rivolgono solo i neofiti).
Oggigiorno esiste il cosiddetto laboratorio "service" al quale qualcuno, privo di mezzi idonei (es.Photoshop della Adobe) può rivolgersi inviando semplicemente il fotogramma, lasciando quindi ad operatori esterni la realizzazione dell'immagine nel suo stato finale.

La vera fotografia dovrebbe essere scattata e completata, stampa compresa, dallo stesso fotografo, affinché questi possa in ogni momento ed in ogni fase esecutiva intervenire secondo la sua sensibilità e la sua creatività, perché di creazione si tratta, in quanto espressione originale di un personale modo di vedere e pensare le immagini della realtà.


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