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OSCENITA’ E CONSENSO
di Alessandro Tempi
pubblicato il 12/06/2008 |
Robert Mapplethorpe, un fotografo
che ha dato un Io alla sessualità repressa, dimostrando
che essa non è e non può ridursi ad una messa
in scena, ma che è e non può che essere una messa
in gioco. |
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Un consenso pressoché
unanime che circonda in Europa l’opera del fotografo Robert
Mapplethorpe (1946-1989) assai di rado viene ormai a contrasto
con reazioni e veti censori. Il che, se per un verso può
ricondursi al diffuso clima di agnosticismo estetico-morale
in cui viviamo, per un altro può essere visto come segno
di una disinvoltura - o maturità - intellettuale estremamente
disincantata, perfino annoiata, che è divenuta habitus
ordinario della coscienza intellettuale europea.
Guardare dentro questo consenso può senza dubbio costituire
un modo inedito di riflettere sull’opera di Robert Mapplethorpe
da un versante inconsueto: partendo cioè non da ciò
che l’opera è o vuole essere, ma dal rapporto che
essa instaura con l’osservatore, che è inevitabilmente
un rapporto con modelli di cultura e sistemi di valori che rappresentano
anche meccanismi di regolazione dell’ordine sociale.
Guardando dentro questo consenso, ci accorgiamo di qualcosa
di sorprendente: che ciò che presumibilmente dovrebbe
o potrebbe scandalizzarci - la materia erotica od omoerotica
di molte delle immagini - in realtà non ci scandalizza
affatto. E non perché il nostro occhio sia puro, ingenuo,
o non contaminato da moralismi repressivi; non per un innato
rispetto della diversità sessuale; non insomma per una
sorta di tollerante equanimità spirituale, ma per un
dato che storicamente contraddistingue tutta la civiltà
europea: la materia erotica gli appartiene, gli è propria
come un leit-motiv classico che ricorre costantemente nella
storia delle sue manifestazioni letterarie e figurative e fa
sì che fra osceno e sublime la distanza sia più
tenue (e più opinabile) di quanto si pensi. Basterebbe
del resto fare solo alcuni nomi - e veder così ripercorsa
tutta la storia della civiltà europea dall’antichità
fino ad oggi - per accorgersi quanto l’eros intrida la
letteratura, rendendo indistinguibile ogni possibile confine
fra i due termini in gioco. |
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Il che pone il concetto di oscenità,
almeno in Europa, su un piano molto meno morboso e scandaloso
di quanto l’uso meramente censorio di questa parola ci
voglia far credere. E spiega perché invece negli Stati
Uniti, mancando alla tradizione biblica puritana il contrappeso
della tradizione classica laica, la reazione alla materia erotica
sia spesso più allucinata e persecutoria.
La stessa storia
della censura, del resto, come rilevava Paul Englisch già
nel 1927, è in questo senso contraddittoria, in quanto
ha mostrato che la sanzione, almeno fino alle soglie dell’età
moderna, ricadeva non tanto sui contenuti osceni delle opere,
ma su quelli contrari all’ordine politico e religioso.
Non è un caso che il concetto di pornografia sia un’acquisizione
recente del vocabolario normativo e repressivo moderno: perché
va a coincidere con quei processi di riproduzione e circolazione
di massa tipici della società industriale. Dal che si
capisce come la pornografia stringa con l’ordine sociale
una relazione ben più forte e decisiva di quelle con
l’oscenità ed il desiderio.
Nella pornografia infatti il desiderio osceno si identifica
sempre in un desiderio di rappresentazione, non solo perché
il desiderare è già di per sé un pre-figurare,
un pre-vedere con gli occhi del desiderio, ma soprattutto perché
questo figurare è di fatto una forma di astrazione, un
modo di affrancarsi dall’ingombro della materialità
(il nucleo corporeo-irrazionale della sessualità) per
far volatilizzare il desiderio nel falso contesto di una messa
in scena fittizia. E’ esattamente questo, del resto, il
vero significato della pornografia secondo Robert Stoller: parafrasare
o parodiare il desiderio (che pure affonda la sua radice nel
nucleo di ciò che Claude Olievenstein chiama il “non
detto” o indicibile) per tramutarlo in una sorta di avventura
senza rischio, qualcosa che può essere giocato per poi
ritornare alla serietà. In questo senso la pornografia
coincide con un immaginario fittizio davanti al quale l’Io
prova il brivido della messa a repentaglio della propria identità,
senza tuttavia mai perderla, anzi riconducendola docilmente
alla normalità. Pertanto è corretto dire che la
pornografia è un fenomeno funzionale all’ordine
sociale: consente l’avventura illusoria dell’inosato
o del non altrimenti accessibile, riducendolo ad osceno, senza
tuttavia spostare i confini della norma o metterne in discussione,
anche solo a livello soggettivo, l’esistenza. La pornografia
consiste insomma in un aggiustare o comprimere la sessualità
dentro le immagini/raffigurazioni che l’odierna oscillazione
fra norma e devianza (dovuta alle scienze sociali) ci mette
a disposizione; ma non fa affiorare autenticamente ciò
che latita nel profondo, anzi lo copre con la maschera della
messa in scena.
Col che si può tornare a Mapplethorpe. Ciò che
nelle sue opere veramente sgomentava il pubblico americano era
il fatto che ostensibilmente niente del suo lavoro potesse essere
fatto ricadere nell’ambito della pornografia proprio perché
niente in esso assecondava l’istanza socialmente conservatrice
insita nella pornografia stessa. Per una società estremamente
formalistica come quella statunitense, in cui tutto pragmaticamente
tende ad essere riconoscibile, definibile, etichettabile, l’esperienza
artistica di Mapplethorpe (ed il suo successo) rappresenta insomma
un sovvertimento ed uno sconfinamento, qualcosa che, insomma,
“non sta al suo posto”, proprio perché rifiuta
doppiamente la regola sociale del meccanismo pornografico: andando
contro la sua funzionalità all’ordine sociale,
ma soprattutto consentendo alla sessualità di dotarsi
di una consapevolezza diversa e più autentica (e quindi
più rischiosa per la società) delle immagini illusive
che la finzione pornografica consente. Mapplethorpe ha dato
insomma un Io alla sessualità repressa, dimostrando che
essa non è e non può ridursi ad una messa in scena,
ma che è e non può che essere una messa in gioco
(e quindi una messa a rischio) dell’identità stessa
dell’uomo nella sua interezza.
Che nella coscienza europea vi sia più disinvoltura davanti
ai suoi lavori non significa tuttavia che da questa parte dell’Atlantico
vi sia di fatto una percezione più profonda di ciò
che la sessualità è al di là o al di fuori
della codificazione sociale del circuito norma-devianza. Significa
semmai che in essa il tema sessuale (o erotico) vi risiede da
più tempo, animando un immaginario letterario ed artistico
ampiamente legittimato dalla tradizione storica. E’ questa
anzianità, del resto, che ha assicurato a questo tema
una dignità culturale su cui oggi si tenta di fondare
l’ambigua distinzione fra erotismo e pornografia. Ma dovrebbe
essere ormai chiaro che distinzioni, se vi sono, non stanno
nella cosa in sé, ma nel rapporto che la cosa innominabile
instaura con l’ordine sociale. La lezione di Robert Mapplethorpe,
per cui egli ha messo in gioco la sua stessa vita, è
in fondo proprio questa.
link:
Mostra di Robert Mapplethorpe
Parigi,Grand Palais, Galleria sud-est
dal 26 marzo al 13 luglio 2014 |
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