La
foto di Steichen è un tipico esempio di pittorialismo, di approccio alla
fotografia nei termini di una sensibilità eminentemente pittorica, in antitesi
ad un atteggiamento purista che vorrebbe la fotografia risultato genuino di un'operazione
tecnica esclusivamente strumentale. Anche questa via, alla pari del pittorialismo,
si presta in effetti a molte contestazioni, trattandosi di una possibilità
ampiamente aleatoria per l'inevitabile presenza umana di chi esegue la fotografia
secondo scelte soggettive ed inquinanti, basti pensare alla profonda trasformazione
compiuta dalla ripresa fotografica su una realtà non semplicemente duplicata,
ma astratta dal suo contesto e divenuta un perfetto analogon della realtà
stessa, dalla quale tuttavia differisce profondamente. Comunque, pur nella
complessità delle attribuzioni che si possono far convergere sulla fotografia,
essa resta una disciplina autonoma e caratterizzata, diversa dalla pittura, anche
se, in termini di classificazione stilistica, si può parallelamente alla
pittura parlare di fotografia Art Nouveau, Decò, Espressionista ecc., denominazioni
intese non tanto come paradigmi estetici, ma come categorie dello spirito.La
prima anomalia è insita nel concetto stesso di pittorialismo, una fotografia
che vorrebbe ottenere con mezzi tecnici impropri, la macchina fotografica anziché
pennello e colori, gli stessi risultati di libertà formale e rappresentativa
della pittura, evadendo dai dogmi del tecnicismo imposti dal mezzo.
Ma se è
vero che la tecnica rappresenta una dura lex alla quale si deve soggiacere,
è anche vero che ognuno può liberamente scegliere la tecnica più
idonea o addirittura inventarsene una che esprima al meglio le proprie esigenze
espressive ed estetiche (non dimentichiamo che "téchnai",
nella sua originaria accezione, è l'equivalente di "arte",
che in antico significava il complesso delle attività umane che richiedono
abilità tecnico-pratiche finalizzate a produrre un'opera).
Il pittorialismo,
che imita passivamente l'arte canonica ed accentua, anziché superare, la
sudditanza della fotografia alla pittura nella ricerca di un forzato mimetismo
pittorico per superare una presunta freddezza espressiva del mezzo tecnico, si
potrebbe sinteticamente definire una scelta sbagliata, perché antitetica
rispetto al concetto stesso di fotografia, coinvolgendo in un giudizio sostanzialmente
dubitativo, se non negativo, le opere che la esprimono.
La seconda anomalia sta nell'approccio alla fruizione di una forma d'arte, quella fotografica, che
impegna meccanismi mentali e produce esperienze estetiche diverse da quelle del
quadro dipinto o di un disegno e quindi non ha titolo per sostituirsi ad esso. Vale
la pena di rispolverare Walter Benjamin ed il suo concetto di 'aura' per ricordare
che parte del godimento estetico davanti ad un dipinto deriva dalla consapevolezza
della sua esclusività, del "hic et nunc dell'opera d'arte la cui
esistenza unica è irripetibile nel luogo in cui si trova". Ora,
la fotografia nasce come forma espressiva tipica dell'epoca tecnologica, per la
quale si è verificata una "decadenza dell'aura", ed ha la peculiarità
di essere indefinitamente riproducibile conservandosi qualitativamente immutata,
dalla prima all'ultima stampa, permettendo una divulgazione illimitata e sempre
uguale del proprio messaggio che pare così escludere ogni pretesa di elitarietà.
L'esiguità numerica degli esemplari stampati, che ne fa lievitare il prezzo, non costituisce in realtà
alcun oggettivo valore aggiunto quando si tratti di un'opera fotografica, il contrario vale invece
per una litografia o un'incisione, dove la riproduzione è caratterizzata da progressivo scadimento del risultato.
E mentre nel caso di un dipinto la rarità
è un pregio da difendere e valorizzare, per la fotografia essa è
un difetto da eliminare perché ostacolo alla fruizione di massa, proprietà fondamentale che differenzia l'opera unica da quella riproducibile tecnicamente. La
labilità e la ripetitività dell'immagine fotografica fanno parte
del suo essere fotografia, nel momento in cui viene incongruamente fruita in altro
modo essa diventa altro. Non è necessario dibattere se questa perdita
dell'aura sia un bene o un male, se inauguri un nuovo concetto di opera d'arte
o ne demolisca quello corrente, è semplicemente un dato che va recepito
nel bagaglio culturale della modernità: neanche Benjamin si esprime al
proposito in termini inequivocabili, senza dare un chiaro giudizio di merito quando
stabilisce una netta distinzione tra arte classica ed arte moderna, intendendo
quest'ultima legata a procedimenti tecnologici che sempre permettano la replicazione
dell'opera.
La terza anomalia discende dalle precedenti e riconduce allo
spunto iniziale: perché mai il mercato premi con cifre al di sopra di ogni
merito un'opera di questo tipo, oggettivamente di valore artistico assolutamente
modesto, resta un'incognita, o il sintomo di quella che Robert Hughes, critico
d'arte autore del brillante saggio "The Culture of Complaint" (1993),
fautore in più occasioni di un duro dibattito sulla moralità dell'escalation dei prezzi nel mercato dell'arte e sulla mercificazione delle opere, definisce
"un'indecorosa isteria del mercato" o anche una "oscenità
culturale" che asseconda un patologico desiderio di possesso".
E' ancora Hughes che dichiara, in occasione della vendita di un mediocre Picasso
datato 1905, "Il ragazzo con la pipa", avvenuta nel 2004, "quando
un super ricco paga per un immaturo Picasso del periodo rosa una somma pari al
reddito nazionale annuo di certi Paesi africani o dei Caraibi, vuol dire che c'è
davvero del marcio".
Appare evidente come oggi l'arte rappresenti
un importante fattore in progetti di marketing di imprese private, società
di investimento o grandi finanzieri ed il fatto che cifre così esorbitanti
concernano in genere opere di scarso valore artistico sembra inquadrarsi in "una
lacrimosa avversione all'eccellenza" tipica dell'imperante cultura del
piagnisteo che tende a privilegiare i mediocri, nella quale il concetto di "politically
correct" sostituisce ogni giudizio di merito e qualità per una
neutralità morale che non fa sperare nulla di buono su ciò che la
cultura può diventare nel prossimo futuro.
link:
Arte e mercato
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