La foto di ‘dettaglio’ o di ‘particolare’ si può considerare una categoria precisa nell’ambito della fotografia moderna, distinta dalla macrofotografia, prima che sul piano del risultato visivo, su quello dell’intenzione del fotografo.
A differenza di ciò che avviene nella macrofotografia o microfotografia, due termini in apparente opposizione in realtà significativi dello stesso procedimento di ingrandimento di un soggetto piccolo, la foto di dettaglio opera a monte dello scatto una scelta precisa (ed inevitabilmente più o meno concettuale) tra la molteplicità dei particolari che possono riassumere e sintetizzare un tutto nel modo giudicato più significativo.
La foto che ne risulta, detta close-up mutuando il termine dal cinema, indica un primo piano di una parte, di un dettaglio estrapolato da un insieme. Ciò per esaltare un elemento che già appare come particolarmente degno di risalto, oppure mostrare qualcosa che l’osservatore casuale non coglie, portare alla luce un particolare significativo sfuggito ad uno sguardo superficiale sopraffatto e sviato dall’abbondanza di stimoli visivi.
Tenendo presente che “Dio è nei dettagli”.
“God is in the details” dice Mies van der Rohe, appropriandosi di una frase probabilmente già pronunciata un secolo prima da Gustave Flaubert (“le bon Dieu est dans le détail”), già riferita anche da Benedetto Croce, che la attribuisce a Aby Warburg, “…..un motto bizzarro ma profondo che soleva ripetere un dotto tedesco (o, se si vuole, ebreo-tedesco), altamente benemerito degli studi, il Wartburg, tenere sempre presente che Gott ist im Detail, che Dio è nel particolare” (Benedetto Croce, Napoli, conferenza del 18 marzo del 1949).
Una frase resa popolare da molteplici citazioni, meno note le origini della sua parafrasi ,“Il diavolo è nei dettagli” (forse dovuta al musicista pop tedesco Blixa Bargeld), sussistendo nelle due versioni tra le due parole chiave (dio e diavolo) una insospettata equivalenza di significato, quantomeno mediatico, peraltro già rintracciabile in altri contesti (un aneddoto, l’attribuzione al bosone di Higgs dell’appellativo di "God particle" in sostituzione dell’originario e contrario "Goddamn particle").
Comunque, seppure facendo ricorso ad opposte metafore, entrambe le frasi stanno ad indicare il potere evocativo quasi occulto e misterioso del dettaglio, la sua capacità di dire e non dire, di rendere visibile l’invisibile, presente l’assente.
Anche Roland Barthes (“La camera chiara. Nota sulla fotografia”, 1980) pare un convinto assertore del fatto che il dio che sta nei dettagli di un’immagine fotografica sia l’artefice delle emozioni più coinvolgenti ed irrazionali che essa suscita, il dettaglio non consapevolmente cercato, estraneo al messaggio veicolato dall’immagine, irrilevante rispetto al tutto, che emerge in modo imprevisto: “Un dettaglio viene a sconvolgere tutta la mia lettura; è un mutamento vivo del mio interesse, una folgorazione. A causa dell’impronta di qualcosa, la foto non è più una foto qualunque. Questo qualcosa a fatto tilt, mi ha trasmesso una leggera vibrazione”, così scrive di ciò che egli chiama punctum.
Che è inevitabilmente un elemento soggettivo, variabile da osservatore a osservatore in funzione del suo vissuto individuale, della cultura, l’ambito sociale ecc., ed infatti Barthes non delega né richiede al fotografo la capacità di farlo emergere, anzi dice “la veggenza del fotografo non consiste tanto nel “vedere” quanto piuttosto nel trovarsi là”, la non intenzionalità è espressamente richiesta.
Mentre nella foto di dettaglio, ‘trovarsi là’ presuppone un ruolo attivo, vuol dire che chi scatta sceglie per noi quello che 'dobbiamo' vedere, decidendo di escludere o inserire, di nascondere o portare in luce, svelare il punctum, il focus dell’immagine reale e consegnarlo all’osservatore coinvolgendolo in una esperienza mediata.
Nella quale lo scatto “può evidenziare così intensamente un dettaglio da renderlo più convincente sulla lastra che nell'originale”, così scrive Nikolaus Pevsner sul potere del fotografo, che nella fotografia di dettaglio è il padrone assoluto del contesto, dei parametri dimensionali e spaziali, della percezione delle proporzioni.
In questi termini, la foto di dettaglio, che non è l’ingrandimento di un particolare, una semplice amplificazione visiva, un puro moltiplicatore di scala, acquisisce un’identità propria separata dal tutto ricorrendo ad un linguaggio iconico indipendente ed autonomo con nuovi codici interpretativi, facendo slittare sul piano simbolico la lettura dell’immagine attraverso l’enfatizzazione. |