Re-tràhere,
trarre fuori, questo l'etimo latino del termine 'ritratto', ciò che nelle
arti visive viene anche definito 'simulacro' (di una identità reale o solo
apparente), a sua volta derivato dal verbo latino 'simulo', rendo simile, ri-produco,
altrimenti detto 'immagine' dal latino 'imago', rappresentazione, forma esteriore,
configurazione: una fitta tramatura filologica lega i vocaboli definenti un atto
di creazione umano ed artistico dal profondo significato simbolico, che hegelianamente
attua la sintesi somma dell'interiorità e dello stato esteriore del raffigurato. "Almeno
fino al Rinascimento, i tratti del volto erano infatti considerati un'articolazione
di segni simbolici che concorrevano a trascrivere l'invisibile entro i confini
della fisicità. Se seguiamo Benjamin e la sua teoria dell' "inconscio
ottico", questo fatto è ritornato con l'avvento della fotografia:
un procedimento tecnico che pare assicurare la perfetta aderenza rappresentativa
riconsegnandoci nel tempo quello che il naturalismo rinascimentale pareva aver
smarrito, vale a dire l'invisibile, il non-dicibile, il non conscio."
(Alessandro Tempi, "Il declino del ritratto")
Ed è
grazie alla fotografia che l'evoluzione del ritratto, dalla drastica circoscrizione
alle classi più abbienti imposta dalla costosa produzione pittorica, giunge
alla sua attuale, capillare diffusione poiché il mezzo meccanico democraticamente
pone alla portata di tutti la possibilità di tramandare e diffondere la
propria immagine, veicolando un insieme di valori con efficace sinergia, potentemente
amplificata dalla possibilità di una diffusione illimitata. Gianmarco
Chieregato ha da parecchi anni fatto del ritratto uno dei filoni portanti della
sua professione di fotografo (rubato all'architettura, come suggerisce la sua
laurea), ritraendo personaggi più o meno noti del contemporaneo, volti
dell'attualità, dello spettacolo, della moda, in quello che lui definisce
'un lavoro', scelto ed amato, nel quale persiste, a suo dire, una forte componente
di casualità (definisce la fotografia come "un'arte della casualità
o una casualità dell'arte").
Sono infatti pochi, ma inderogabili,
i punti fermi per ritratti che devono trasmettere un messaggio con precisi contenuti
informativi su personaggi dei quali il pubblico possiede già definite immagini
mentali filtrate dai media: la riconoscibilità, l'inequivocabile identificabilità
psico-fisica del soggetto, una preoccupazione comunque 'estetica' del risultato,
che lusinghi le aspettative dei fruitori ed al tempo stesso del soggetto ritratto,
un linguaggio formale di facile decodificazione poiché il messaggio trasmesso
da una foto, come qualunque altro inviato attraverso un linguaggio in codice (in
questo caso visivo), per essere efficace richiede di essere agevolmente decifrato
dal destinatario.
E' per questo che un buon ritratto è già
di per sé una buona operazione di marketing -.
Nella nutrita galleria
di Gianmarco Chieregato ci sono ritratti pensati, ma anche molti colti al volo,
eseguiti in studio o nelle condizioni ambientali di luce più diverse, a
colori o b/n, questi ultimi tra i preferiti dall'autore, e come dargli torto!
I ritratti in b/n di Gianmarco Chieregato hanno il fascino dell'atemporalità,
il glamour di una Hollywood che non esiste più se non nella memoria collettiva
di generazioni di cinefili (o filmofili, se mi si passa il neologismo, secondo
me più significativo) che hanno scrutato, affascinati, volti di irreale
perfezione, cercando nella scala dei grigi l'oro di un biondo, il colore di uno
sguardo, la sfumatura di un incarnato, lavorando di fantasia, immaginando, mitizzando,
inventando, ingannandosi, perché, si sa, nulla è meno obiettivo
di ciò che ci mostra un obiettivo fotografico! Se è vero
che le informazioni visive trasmesse da un'immagine sono delegate per una parte
non indifferente alle caratteristiche cromatiche e che il colore attiva una vasta
gamma di reazioni psico-neurologiche importanti, forse anche perché l'immagine
colorata è oggettivamente più vicina alla realtà percepita,
è pur vero che la scelta del b/n pone con maggior forza l'accento sulla
forma, per la quale il colore agisce come elemento di distrazione o disturbo ed
è sostanzialmente superfluo. Ciò vale in particolare per Gianmarco
Chieregato e per il suo linguaggio eminentemente segnico, pulito senza essere
essenziale, descrittivo eppure non banale, elegante ma non stucchevole, secondo
una percezione dell'immagine che privilegia l'aspetto grafico piuttosto che quello
plastico. Gran parte del risultato finale è affidato all'equilibrio
della composizione, in genere con un punto focale baricentrico, sottolineato talvolta
dal contesto ambientale o architettonico a prospettiva centrale: ottenuto nello
scatto o nella successiva elaborazione tecnica dell'inquadratura, la differenza
è irrilevante, ciò contribuisce ad identificare un modus operandi
personale e riconoscibile, improntato ad una compostezza formale che denuncia
un interiore bisogno di ordine ed una costante ricerca di armonia. La padronanza
del mezzo coincide con la padronanza emotiva, cosicché al di là
della casualità delle situazioni e della spontaneità del gesto,
fermato proprio al momento giusto per istinto o ispirazione o innata capacità
di "vedere bene" o "vedere meglio", si intuisce che Gianmarco
Chieregato c'è, è presente, è 'dentro' la foto, a garanzia
della qualità del risultato: è questo 'esserci' che ha contribuito
a definire il suo 'stile', esserci per testimoniare l'appartenenza dell'immagine
al suo autore, per stabilirne l'esclusività e l'autenticità, esserci
in quanto soggetto attivo, in contrappunto al soggetto passivo ritratto, esserci
in uno spazio non "elaborato consapevolmente", ma "elaborato inconsciamente"
attraverso l'obiettivo da un "inconscio ottico" capace di portare alla
luce una sorta di interiorità dell'immagine come avviene, attraverso la
psicanalisi, con "l'inconscio istintivo" (il richiamo a Walter Benjamin
è proprio inevitabile!).
E non è solo un volto, ciò
che Gianmarco Chieregato cerca al di là del suo obiettivo, ma una personale
visione del mondo, un mondo perfetto, o perfettibile, dove la bellezza esiste
ed esiste anche la magia, magari 'passata' da un obiettivo fotografico, poiché
"la fotografia dischiude gli aspetti fisiognomici di mondi di immagini
che abitano il microscopico, avvertibili ma dissimulati abbastanza per trovare
un nascondiglio nei sogni ad occhi aperti, e ora, diventati grandi e formulabili
come sono, capaci di rivelare come la differenza tra tecnica e magia sia una variabile
storica", come ci insegna Walter Benjamin. http://www.gmchieregato.com/ |