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Testi e commenti di Vilma Torselli su Antithesi, giornale di critica d'architettura. Il più letto in Artonweb: fotografia
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Conversazione con l'autore
di Gianmarco Chieregato e Vilma Torselli
pubblicato il 10/05/2006
"Qual è il soggetto del ritratto? Nessun altro se non il soggetto stesso, assolutamente. Dov'è che il soggetto stesso può trovare la sua verità e la sua realtà effettiva? Da nessun'altra parte se non nel ritratto. Non c'è dunque soggetto che in pittura, così come non c'è pittura che del soggetto…. " (Jean-Luc Nancy, "Le Regard du portrait")

Re-tràhere, trarre fuori, questo l'etimo latino del termine 'ritratto', ciò che nelle arti visive viene anche definito 'simulacro' (di una identità reale o solo apparente), a sua volta derivato dal verbo latino 'simulo', rendo simile, ri-produco, altrimenti detto 'immagine' dal latino 'imago', rappresentazione, forma esteriore, configurazione: una fitta tramatura filologica lega i vocaboli definenti un atto di creazione umano ed artistico dal profondo significato simbolico, che hegelianamente attua la sintesi somma dell'interiorità e dello stato esteriore del raffigurato.
"Almeno fino al Rinascimento, i tratti del volto erano infatti considerati un'articolazione di segni simbolici che concorrevano a trascrivere l'invisibile entro i confini della fisicità. Se seguiamo Benjamin e la sua teoria dell' "inconscio ottico", questo fatto è ritornato con l'avvento della fotografia: un procedimento tecnico che pare assicurare la perfetta aderenza rappresentativa riconsegnandoci nel tempo quello che il naturalismo rinascimentale pareva aver smarrito, vale a dire l'invisibile, il non-dicibile, il non conscio." (Alessandro Tempi, "Il declino del ritratto")

Ed è grazie alla fotografia che l'evoluzione del ritratto, dalla drastica circoscrizione alle classi più abbienti imposta dalla costosa produzione pittorica, giunge alla sua attuale, capillare diffusione poiché il mezzo meccanico democraticamente pone alla portata di tutti la possibilità di tramandare e diffondere la propria immagine, veicolando un insieme di valori con efficace sinergia, potentemente amplificata dalla possibilità di una diffusione illimitata.

Gianmarco Chieregato ha da parecchi anni fatto del ritratto uno dei filoni portanti della sua professione di fotografo (rubato all'architettura, come suggerisce la sua laurea), ritraendo personaggi più o meno noti del contemporaneo, volti dell'attualità, dello spettacolo, della moda, in quello che lui definisce 'un lavoro', scelto ed amato, nel quale persiste, a suo dire, una forte componente di casualità (definisce la fotografia come "un'arte della casualità o una casualità dell'arte").

Sono infatti pochi, ma inderogabili, i punti fermi per ritratti che devono trasmettere un messaggio con precisi contenuti informativi su personaggi dei quali il pubblico possiede già definite immagini mentali filtrate dai media: la riconoscibilità, l'inequivocabile identificabilità psico-fisica del soggetto, una preoccupazione comunque 'estetica' del risultato, che lusinghi le aspettative dei fruitori ed al tempo stesso del soggetto ritratto, un linguaggio formale di facile decodificazione poiché il messaggio trasmesso da una foto, come qualunque altro inviato attraverso un linguaggio in codice (in questo caso visivo), per essere efficace richiede di essere agevolmente decifrato dal destinatario.
E' per questo che un buon ritratto è già di per sé una buona operazione di marketing -.

Nella nutrita galleria di Gianmarco Chieregato ci sono ritratti pensati, ma anche molti colti al volo, eseguiti in studio o nelle condizioni ambientali di luce più diverse, a colori o b/n, questi ultimi tra i preferiti dall'autore, e come dargli torto!
I ritratti in b/n di Gianmarco Chieregato hanno il fascino dell'atemporalità, il glamour di una Hollywood che non esiste più se non nella memoria collettiva di generazioni di cinefili (o filmofili, se mi si passa il neologismo, secondo me più significativo) che hanno scrutato, affascinati, volti di irreale perfezione, cercando nella scala dei grigi l'oro di un biondo, il colore di uno sguardo, la sfumatura di un incarnato, lavorando di fantasia, immaginando, mitizzando, inventando, ingannandosi, perché, si sa, nulla è meno obiettivo di ciò che ci mostra un obiettivo fotografico!

Se è vero che le informazioni visive trasmesse da un'immagine sono delegate per una parte non indifferente alle caratteristiche cromatiche e che il colore attiva una vasta gamma di reazioni psico-neurologiche importanti, forse anche perché l'immagine colorata è oggettivamente più vicina alla realtà percepita, è pur vero che la scelta del b/n pone con maggior forza l'accento sulla forma, per la quale il colore agisce come elemento di distrazione o disturbo ed è sostanzialmente superfluo.
Ciò vale in particolare per Gianmarco Chieregato e per il suo linguaggio eminentemente segnico, pulito senza essere essenziale, descrittivo eppure non banale, elegante ma non stucchevole, secondo una percezione dell'immagine che privilegia l'aspetto grafico piuttosto che quello plastico.

Gran parte del risultato finale è affidato all'equilibrio della composizione, in genere con un punto focale baricentrico, sottolineato talvolta dal contesto ambientale o architettonico a prospettiva centrale: ottenuto nello scatto o nella successiva elaborazione tecnica dell'inquadratura, la differenza è irrilevante, ciò contribuisce ad identificare un modus operandi personale e riconoscibile, improntato ad una compostezza formale che denuncia un interiore bisogno di ordine ed una costante ricerca di armonia.
La padronanza del mezzo coincide con la padronanza emotiva, cosicché al di là della casualità delle situazioni e della spontaneità del gesto, fermato proprio al momento giusto per istinto o ispirazione o innata capacità di "vedere bene" o "vedere meglio", si intuisce che Gianmarco Chieregato c'è, è presente, è 'dentro' la foto, a garanzia della qualità del risultato: è questo 'esserci' che ha contribuito a definire il suo 'stile', esserci per testimoniare l'appartenenza dell'immagine al suo autore, per stabilirne l'esclusività e l'autenticità, esserci in quanto soggetto attivo, in contrappunto al soggetto passivo ritratto, esserci in uno spazio non "elaborato consapevolmente", ma "elaborato inconsciamente" attraverso l'obiettivo da un "inconscio ottico" capace di portare alla luce una sorta di interiorità dell'immagine come avviene, attraverso la psicanalisi, con "l'inconscio istintivo" (il richiamo a Walter Benjamin è proprio inevitabile!).

E non è solo un volto, ciò che Gianmarco Chieregato cerca al di là del suo obiettivo, ma una personale visione del mondo, un mondo perfetto, o perfettibile, dove la bellezza esiste ed esiste anche la magia, magari 'passata' da un obiettivo fotografico, poiché "la fotografia dischiude gli aspetti fisiognomici di mondi di immagini che abitano il microscopico, avvertibili ma dissimulati abbastanza per trovare un nascondiglio nei sogni ad occhi aperti, e ora, diventati grandi e formulabili come sono, capaci di rivelare come la differenza tra tecnica e magia sia una variabile storica", come ci insegna Walter Benjamin. 

http://www.gmchieregato.com/

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