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La relazione tra l'attività artistica, in quanto
espressione del potenziale creativo di un individuo, e la follia intesa come malattia mentale e disagio psichico,
è un rapporto che da sempre affascina l'uomo e che
ha trovato risposte diverse nei diversi periodi storici
e nelle diverse culture: dibattuto a livello filosofico
nell'antica grecia, rimosso dalla tradizione conservatrice
medioevale, riformulato in epoca rinascimentale ed assimilato
al concetto di originalità accessibile attraverso
la "malinconia" (sindrome depressiva e psicosi
maniaco-depressiva), rivalutato nel Romanticismo nell'inscindibile
binomio, fuoco creativo-folle sregolatezza, per giungere
alla posizione positivista di Cesare Lombroso, fondatore
della criminologia come scienza, che stabilisce come la
genialità, la follia, la criminalità siano
tutte devianze da una preconcetta normalità.
Lombroso formulò l'ipotesi di una ereditarietà
familiare sia del potenziale creativo che della tendenza
ad alcune malattie mentali, ipotesi che parve confermata
da una vastissima ricerca condotta in Germania e che mise
effettivamente in luce una significativa relazione tra le
attività più creative, si potrebbero dire
specificatamente artistiche, ed il rischio sia di malattie
mentali che di tendenza suicida, questa ultima quasi sempre
collegata alle prime: ciò parve confermato anche
dagli studi condotti dal sociologo americano Steven Stack,
che rilevò come i suicidi siano molto più
frequenti, statisticamente, fra gli artisti (morirono suicidi,
ad esempio, Bernard Buffet, e Vincent Van Gogh, più
volte ricoverato in manicomio, Ernst Kirchner, Mark Rothko). |
Negli anni seguenti alle formulazioni di Lombroso, si svilupparono
studi e teorie volti a dimostrare l'esistenza di un fattore
a base biologica, e quindi trasmissibile per via ereditaria,
in grado di favorire lo sviluppo di associazioni mentali
inusuali ed originali, tipiche di vivaci processi creativi
artistici, ma anche l'instaurarsi di malattie della sfera
psichica e mentale, sembrando questo processo in qualche
modo legato all'attività dopaminica.
L'ipotesi venne confermata a seguito degli studi di eminenti
psichiatri di tutto il mondo, quali Nancy Andreasen, che
rilevò una elevata presenza di disturbi dell'umore
tra gli scrittori, e Joseph Schildkraut, che, come anche
Arnold Ludwig e Felix Post, compì specifici studi
sui pittori dell'Espressionismo astratto americano rilevando
gli stessi problemi: al di là di ogni statistica,
e' comunque un dato di fatto la follia di Vincent Van Gogh,
di Antonio Ligabue, di Edvard Munch, così come non
ci sono dubbi sulla genialità artistica del loro
operare.
In particolare per questi tre artisti, per i quali la malattia
mentale si è manifestata anche come disaddattamento socio-relazionale, come incapacità comunicativa tra
sè stessi ed il resto del mondo, tra il proprio mondo
interiore e la realtà esterna, si può dire
che la loro attività artistica, la possibilità
di creare opere d'arte abbia in qualche modo ripristinato
la capacità comunicativa attraverso l'espressione,
in forma pittorica, della dimensione simbolica dei loro
vissuti interiori e, forse, attraverso l'espressione di
conflitti inconsci irrisolti, esternati e sublimati nell'oggetto
artistico (si vedano al proposito le teorie di Otto Rank).
A questo proposito mi piace ricordare una suggestiva analogia
proposta dagli psicologi esperti di art therapy
Antonio Preti e Paola Miotto, che fa riferimento al mito
del "simbolo", etimologicamente derivato dal greco
"simballein" (riunire), costituito da una tavoletta
incisa con un cartiglio: la tavoletta veniva spezzata in
due parti e ciascun amico di una coppia ne conservava una
metà, affinchè, in un lontano futuro, dopo
aver seguito ciascuno le proprie esperienze, gli amici potessero
ritrovarsi, ricomporre il cartiglio e riconoscersi come
metà di una stessa interezza.
In fondo l'arte, che si esprime per metafore, può
essere anche "simbolo", mezzo ed occasione di
ricongiungimento fra le parti frammentate di uno stesso
Io, che attraverso l'espressione artistica ricompone il
suo simbolo e ritrova se stesso.
Alcuni studiosi sostengono che la malattia mentale sia
in grado di favorire la creatività osservando come,
in taluni casi, produca associazioni di idee inusuali e
fuori da ogni parametro di razionalità, permettendo
all'artista di portare alla luce immagini del tutto originali
altrimenti non concepibili, frutto di processi mentali anomali
che si manifestano anche grazie all'allentamento dei freni
inibitori indotti dalla malattia mentale stessa (effetto
che viene a volte ricercato consapevolmente dall'artista
con l'assunzione di droghe o allucinogeni).
La disinibizione permette infatti di attuare legami e correlazioni
tra idee anche lontane tra loro, rafforzando quindi la capacità
creativa ed immaginifica del soggetto, stati mentali fuori
dalla cosiddetta "norma" possono associare elementi
che "normalmente" vengono tenuti separati e creare
collegamenti secondo legami anomali che, proprio perchè
tali, risultano innovativi ed originali: queste condizioni
si verificano più facilmente negli individui schizofrenici,
per usare un termine ormai comune per una delle più
diffuse psicopatologie, inventato dallo psichiatra svizzero
Eugen Bleuler.
A seguito di ulteriori indagini ed osservazioni, sulla base
dell'approccio di Bleuler, si può giungere alla conclusione
che effettivamente negli individui creativi esiste un modello
di pensiero di tipo schizofrenico, senza tuttavia le manifestazioni
di angoscia e dissociazione tipiche della malattia, come
confermato dagli studi di Albert Rothenberg che identificò
in tali individui la tendenza al pensiero "allusivo",
inteso come capacità di unire in un unico concetto
contenuti distanti per qualsiasi individuo "normale",
senza essere disturbati dalle contraddizioni.
In un'intervista del novembre 2002, Semir Zeki, teorico
della Neuroestetica,
alla domanda: "Il cervello degli artisti è
morfologicamente diverso da quello dei non artisti?"
risponde:
"Su questo aspetto solo una ricca aneddotica ci
fa pensare che sì, ci siano delle differenze. Per
esempio, l'area specializzata nel colore sembra essere molto
più grande in un certo tipo di artisti, mentre quella
adibita al movimento è più grande negli artisti
cinetici.Ma sono solo delle ipotesi".
* articolo aggiornato il 5/02/2013
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