Graffitismo o street art o aerosol art, collocabile nella famiglia allargata della Culture Jamming (sniggling, sticker art ecc.), campo d’azione di irriducibili enfants terribles, sconosciuti giustizieri mascherati che urlano la loro rabbia contro il mondo tutto, writers ribelli fuori dagli schemi che nel buio delle notti metropolitane riescono a realizzare in tempi incredibili e in condizioni proibitive acrobatiche performances sui frontespizi delle case, sui muri di cinta, nei sottopassaggi, sui ponti, sui tetti, sui vagoni ferroviari, nel metrò.
Non tutti gradiscono, nel 2006 nasce persino una ‘Associazione Nazionale Antigraffiti’ per trovare “proposte e soluzioni per contrastare gli effetti negativi di questo fenomeno di degrado”, senza nascondersi la difficoltà di trovare un criterio di discriminazione tra “graffito-opera d’arte” e “graffito-atto vandalico”.
Oggi, sepolto un recente passato di cacce al writer, polemiche, denunce, arresti, processi per associazione per delinquere finalizzata all'imbrattamento, multe e condanne, si guarda a questo fenomeno tutto sommato popolare con maggior indulgenza (o forse impotenza), cercando di assimilarlo ed integrarlo alla cultura ufficiale, tanto che due grandi città come Roma e Milano ne hanno ufficializzato la presenza: nel 2007 il PAC di Milano ospita la mostra “Street Art Sweet Art”, nel 2010 viene realizzato un graffito collettivo di 170 mq nel cinquecentesco chiostro del Museo della Scienza e della Tecnologia, nello stesso anno si tiene la mostra “Walls of Fame” sul tema “La città che vorrei”, invitati i più noti writers quali Pao, Nais, Neve, Ozmo, TvBoy, El Gato Chimney, Santi, Bo130, KOne.
Queste iniziative tese a legalizzare entro un sistema strutturato un fenomeno nato con intenzioni provocatorie, portatore di una carica sovversiva e oppositiva nei confronti della società e dei suoi comportamenti uniformanti e normativi, otterrebbero in realtà il risultato di svuotare di significato il movimento, con il rischio concreto di assorbirlo entro un meccanismo anche commerciale al quale i writers si sono sempre opposti.
E’ ciò che accadde a Basquiat, travolto da sé stesso e dalla droga, ma anche da un sistema che prima lo ha ‘scoperto’ ed osannato, poi stritolato in un efficiente apparato mercantile che chiedeva ai suoi artisti di produrre quantità abnormi di opere anche discutibili da smerciare sul mercato euforico dei nuovi ricchi, del capitalismo ottuso, del galleristi più cinici.
Ed è successo, seppure in termini più sfumati, a Keit Haring, l’opera del quale, svilita e mercificata dal mercato, si esprime tuttavia in tutta la sua poesia nelle versioni ‘intrasportabili’ dei murales in molte parti del mondo.
Che tutto ciò possa rappresentare il tradimento delle origini del movimento è convinzione di molti: Gionata Gesi, “Ozmo”, tag ben nota nel mondo dell’underground e della street art, alla domanda “Quanto e perché conta nel writing il fattore illegalità?” così risponde: ”Certo che la componente di ribellione e vandalismo è importante, e fa di questo fenomeno un qualcosa di molto energico. Questo non significa che non esiste writing senza illegalità. Il punto credo sia comunque andare oltre ai limiti ......".
Oltre i limiti, sull’onda di una creatività istintiva, ad alto tasso di adrenalina, per la quale “la componente illegale rimane comunque irrinunciabile; innanzitutto perché è all’origine del movimento […..] e poi perché l’azione illegale può dare emozioni indipendenti dalla realizzazione del lavoro”, così dichiara la writer blogger Giulia B.
E Sker alias FabioSker1, writer da 15 anni, dice in una recente intervista “il vero writing si vive e si respira nell'illegalità e con l'adrenalina in circolo che non scende a compromessi con i media e con il denaro.”
Certo non basta fare opera di disturbo e di denuncia per fare arte, così come non è necessario che l’arte per essere tale sia provocazione ed opposizione, non c’è relazione necessaria né sufficiente tra l’atto del writing in sé ed i suoi valori artistici. Tuttavia, se il vero spirito della street art risiede in una sorta di guerriglia creativa mirata alla riappropriazione degli spazi urbani, sembra arbitrario e contradditorio il tentativo di estrapolarla dal suo contesto di origine musealizzandola in uno spazio dedicato, alla pari di qualunque opera d’arte moderna.
Infatti, “le tele sono parodie delle cose in strada ma più brutte”, parola di Ozmo, che condanna ogni tentativo di incasellare il writing nei parametri dell’arte contemporanea.
Arte libera e ribelle, il writing non cerca il consenso sociale, non aspira a coinvolgere la collettività né a guadagnarsi un posto nel salotto buono, “il fenomeno Writing è fondamentalmente autoreferenziale, dialoga con sé stesso e raramente coinvolge chi non ne fa parte” dice Andrea Caputo, ideatore e curatore del progetto editoriale “All City Writers”, ‘un libro, una ricerca, una raccolta di testimonianze’, una sorta di bibbia dell’aerosol art, pubblicato nel 2012.
Il senso del fenomeno street art viene analizzato ed efficacemente sintetizzato già in un’intervista del 2009 dallo stesso Caputo, emblematica la frase “L’illegalità ti mette alla prova. Si riparte da zero senza diritti acquisiti, senza conto in banca del babbo o titoli di studio. E’ un mondo completamente nuovo nel quale vali solo per quello che sei e che fai…… Noi eravamo veri.”
E’ comprensibile l’imbarazzo e la difficoltà a legalizzare un fenomeno che vuole essere e restare illegale rivendicando la possibilità di intervento senza autorizzazione sulla proprietà pubblica o privata, il che, allo stato attuale, fa del graffitismo un reato che tale resta da qualunque parte lo si voglia guardare: lo sa bene la polizia di Bologna che nell’ottobre del 2013 denuncia la writer Alice Pasquini, perché “Procura e forze dell’ordine applicano le leggi in vigore e non possono agire in base a valutazioni estetiche”, come dichiara il procuratore Valter Giovannini.
Che fare? Come conciliare legalità e creatività, rispetto della proprietà e libertà dell'espressione artistica?
Roma ha scelto di affidarsi ad un programma sperimentale della durata di sei mesi recentemente varato nei Municipi III e VIII, “Stop Graffiti – percorsi di legalità scolastici” che prevede la ripulitura del patrimonio cittadino, a cominciare dalle pareti delle scuole. Sulle quali, una volta ripulite, saranno apposte delle targhe con la scritta: "Le pareti di questo edificio sono state ripulite e protette a spese del contribuente. Il danno provocato con pochi euro è stato rimosso anche con il contributo dei tuoi genitori. Prima di ripeterlo, sappi che stai commettendo un reato perseguito penalmente. (Art. 639 Codice Penale, così come modificato dall'Art. 3 della L. 94/2009)".
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