"La pittura è una scienza
e dovrebbe essere come un'indagine condotta sulle leggi
della natura...."(John Constable)
Alberto Oliverio, docente di psicobiologia all'Università
"La Sapienza" di Roma, analizza molto efficacemente
studi ed ipotesi che, nel tempo, sono stati fatti sul rapporto
arte-cervello, processi mentali e rappresentazione artistica,
da studiosi della fisiologia, da critici d'arte, da psicologi
ecc., nelle quali i temi di fondo che vengono dibattuti
sono, sostanzialmente, la separazione o meno tra mondo scientifico
e mondo dell'arte, la divergenza tra realtà psicologica
e neuro-biologica, la correlazione tra espressione e percezione
visiva.
La teoria della "pura visibilità", del
critico d'arte Konrad Fiedler, riconosce all'espressione
visiva il compito di raccontare la realtà, l'arte,
in quanto mezzo per passare dalla percezione all'espressione
visiva, è mezzo di conoscenza e di espressione di
un mondo spazio-temporale mediato dalla vista, non è
pura "fotografia" della realtà compiuta
dall'occhio e dal cervello, è espressione di "forme"
che sono categorie della rappresentazione.
Si tratta di una teoria innovativa e rivoluzionaria se collocata
nel suo tempo, gli ultimi decenni dell' '800, che, per ciò
che riguarda la teoria delle forme, verrà ripresa
in tempi relativamente recenti da Henry Focillon e la sua
"vita delle forme".
Va sottolineata l'attività di uno studioso dell'arte
quale Ernst Hans Gombrich, che teorizzò l'esistenza
di schemi figurativi che danno all'immagine il valore di una
codificazione, la cui lettura supera la visione naturale dei
fatti visivi attingendo alla psicologia della percezione,
individuando un forte rapporto metaforico fra la realtà
e la sua rappresentazione simbolica.
L'arte sfrutta questi rapporti, non proponendosi come imitazione
delle forme, ma mezzo per individuare i requisiti minimi
della funzione di rappresentare: "Le immagini sono
chiavi, capaci per puro caso di aprire certe serrature biologiche
o psicologiche, altrimenti detto sono falsi gettoni, capaci
tuttavia di far funzionare il meccanismo".
Tra i critici e gli studiosi dell'arte, ha avuto largo seguito
la teoria della Gestalt, applicata alla psicologia e quindi
alla psicologia dell'arte, secondo la quale la percezione
visiva dipende dall'organizzazione delle percezioni, non funziona
atomisticamente, ma nella totalità (la mente completa
parti coperte di figure, interpreta come righe sequenze di
punti ecc.), come dimostrò con interessanti esperimenti
lo psicologo italiano Gaetano Kanisza, sulla possibilità
che un particolare suggerisca l'interezza e come la percezione
visiva compia processi di categorizzazione alla stregua della
memoria.
In sintesi, l'uomo ha grande capacità di astrazione
sugli oggetti della realtà concreta, non c'è
differenza tra vedere e pensare in quanto, nella percezione,
si mettono in moto meccanismi di strutturazione ed astrazione
dalla realtà che sono gli stessi del pensiero.
I rapporti tra arte e scienza, tra creatività e procedure
analitiche sono in realtà molto più stretti
di quanto si possa immaginare, esistendo tra questi due aspetti
dell'attività umana una profonda affinità,
come già ipotizzato in epoca rinascimentale: si
può dire che Leonardo da Vinci sia il prototipo di
artista-scienziato che sintetizza nella sua opera fantasia
ed intelletto, esperienza sensibile ed astrazione concettuale.
A tal proposito, è di particolare rilevanza l'opera
di Martin Kemp, fra l'altro uno dei massimi studiosi di
Leonardo, circa i processi di visualizzazione e modellazione
mentale che competono sia agli artisti che agli scienziati,
in una simbiosi in cui la scienza sia come una forma di
arte inconscia e l'arte una inconscia rivelazione scientifica,
perchè "ogni opera di scienza è scienza
e arte, come ogni opera d'arte è arte e scienza.
Solo come spontanea è l'arte nella scienza, così
spontanea è la scienza nell'arte". (Paul
K. Feyerabend)
Anche per Paul Valery, come già per Kemp, Leonardo
da Vinci è l'esempio di come siano indiscernibili arte
e scienza, sulla base del fatto che si avvalgono degli stessi
processi di osservazione e meditazione, della stessa logica
dell'immaginazione, pur separandosi poi nei risultati finali:
tuttavia, come osserva Marco Vozza, rimane tra le due attività
dell'intelletto, quella artistica e quella più propriamente
scientifica, un coerente collegamento nel fatto che entrambe
possiedono caratteristiche estetiche di ascendenza pitagorica
(armonia, simmetria, euritmia), tali che, sempre più,
si è registrato un aumento del livello di consapevolezza
del ruolo che il concetto estetico ricopre anche nell'attività
scientifica.
Henry Poincarè difende, alla fine dell'800, il valore
insostituibile dell'intuizione e della sensibilità
estetica nella ricerca più propriamente matematica,
precorrendo quella che sarà la posizione di Albert
Einstein e Werner Heisenberg, nell'ambito dello sviluppo della
fisica relativistica e della meccanica quantistica, entrambi
concordi nel riconoscere agli schemi matematici presenti in
natura una eleganza e semplicità estetiche riproducibili
nelle teorie scientifiche.
Come osserva Marco Vozza ("Che cosa avevano in comune
Cezanne e Heisenberg", La Stampa, 29 genn. 2000) "Per
la maggior parte degli scienziati del XX secolo, l'eleganza
formale è la miglior prova, se non della verità,
almeno della significatività, rilevanza o fecondità
euristica di una teoria, della sua idoneità a descrivere
e spiegare fenomeni naturali, le cui leggi sono rivelate
dalla semplicità del linguaggio matematico".
Questa convinzione da parte degli scienziati, secondo la
quale la percezione in termini estetici è fondamentale
nella dialettica dell'immaginazione scientifica, trova speculare
conferma nella posizione degli artisti e dei critici d'arte
(per esempio quelli della scuola di Gombrich), secondo i
quali, riprendendo le teorie già enunciate da Constable,
l'arte è una scienza che sperimenta attraverso l'opera
d'arte.
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