TUTTO CEDE
Due momenti di perfezione instabile
Ovvero due rapide segnalazioni espositive.
Sono, come sempre e per motivi diversi, spunti per una valutazione
sentimentale e iconografica di alcuni deragliamenti umani
ricorrenti.
Buon viaggio
QUANDO LA MORTE TI FA BELLA
Dangerous Beauty, Pan Palazzo delle Arti Napoli, 5 luglio
- 23 ottobre 07
Quale bellezza salverà il mondo?
F. Dostoevskij
La mostra "Dangerous Beauty - Bellezza Pericolosa",
curata da Manon Slome e importata con lievi modifiche dal
Chelsea Art Museum di New York, prende spunto diretto dai
recenti fatti di cronaca che hanno coinvolto il mondo della
moda accusato, con le sue ristrettissime prerogative
fisiche, di spingere all'anoressia giovanissime e ambiziose
modelle, pronte a incarnare l'odierno ideale di bellezza anche
a costo della vita, e di divulgare canoni estetici sicuramente
irraggiungibili per milioni di adolescenti.
Se in un tempo non troppo lontano la bellezza era uno dei
principali valori per la riconoscibilità e l'affermazione
di un'opera d'arte, questa sembra rivoltarsi non solo contro
l'arte in sé come sua prerogativa, ma anche contro
la nostra stessa vita, dal momento in cui abbellirsi
diventa sinonimo di autodistruggersi (destino frequente per
molte delle attività umane).
Scorrendo le opere digitali e non degli artisti presenti
in mostra, ritroviamo immagini familiari, le stesse immagini
ammiccanti che dalle riviste patinate e dalle pubblicità
ci bombardano e attraggono quotidianamente facendoci sognare
e desiderare la nostra completa omologazione ai suddetti modelli.
I lavori presentati in questa occasione non fanno che spingersi
poco oltre: è sufficiente estremizzare alcuni effetti
liftanti utilizzando con sapienza chirurgica l'arte
della "bellezza composta a tavolino", usando l'ultimo
ritrovato per l'eterna giovinezza (meglio conosciuto come
Photoshop) per mostrarci quanto sottile sia la linea di confine
tra la perfezione estetica e l'orrore artificiale postumano.
Rassegne di bambine fotografate al limite della pedopornografia
da Sergej Bratkov, le ripetute operazioni taglia-cuci-incolla
eseguite direttamente sul proprio corpo da Orlan, l'advertising
fittizio del sapone self-made (realizzato con i resti del
grasso del dopo liposuzione e in linea con l'attuale moda
del riciclaggio) di Nicola Costantino, il passaggio
obbligato "per trovare il paradiso in terra"
sul tappeto di bilance steso da Jacob Dahlgren, le
immagini - così tristemente reali - delle adolescenti
di Laureen Greenfield, le futuristiche e molto glamorous
scene di vita quotidiana delle casalinghe (androidi) disperate
di domani riprese da Erwin Olaf, sono tutte espressioni, oscillanti
tra ironia e dramma psicofisico, di identità malate
e frammentate che cercano di sopraffare l'imperfezione del
mondo attraverso la cosmesi del proprio involucro.
Il malessere denunciato da questi artisti attraverso le loro
opere che manipolano immagini e icone contemporanee sia in
modo ironico e grottesco, sia in modo drammatico e inquietante,
rischiano tuttavia di perpetuare il potere dell'immagine artificiale
in tutta la sua devastante attrattiva: un pò come dire
che non si può rinunciare alla bellezza, anche quando
questa diventa estremamente pericolosa. E' meglio un brutto
anatroccolo reale o un affascinante cigno virtuale?
PIU' VERO DEL VERO
Thomas Demand, Fondazione Giorgio Cini, Venezia, 7 giugno
- 7 luglio 2007
Sono due i progetti proposti da Thomas Demand, curati da
Germano Celant e presentati dalla Fondazione Prada di Milano
negli spazi della Fondazione Cini, sulla minuscola e suggestiva
Isola di San Giorgio a Venezia: "Percorso Grottesco"
e "Yellowcake".
Il lavoro di Demand consiste nell'intrappolare la realtà
nella fotografia, una realtà dispersa nei labirintici
passaggi che uniscono (e allontanano) tra loro la cosa reale,
la sua ricostruzione operata dall'artista e la fotografia
usata come mezzo per immortalarla in tutta la sua fedeltà.
Il risultato, la restituzione finita, è satura di una
freddezza post-mortem che costringe a riflettere sul rapporto,
per niente trasparente, corrente tra realtà e rappresentazione.
Nel noto testo di Roland Barthes "La camera chiara",
l'autore addita i fotografi come agenti della morte,
in quanto la fotografia, divenuta nella nostra società
la principale testimone di ciò che è stato,
con la sua deperibilità non fa che riaffermare la nostra
temporaneità.
La prima installazione, Processo Grottesco, alla quale
l'artista ha dedicato ben due anni di lavoro, ricostruisce
il percorso creativo dell'opera. Ci si perde, nel cammino
che conduce alla meticolosa riproduzione in cartone sagomato
(un lavoro che avrebbe messo alla prova persino Michelangelo
per l'attenzione e la perizia millimetrica con cui è
costruita) di "Grotto", luogo sotterraneo dell'isola
di Maiorca, attraverso i materiali raccolti che hanno portato
all'opera finale (la fotografia della riproduzione cartacea).
La scelta di rappresentare un ambiente così ostile,
una sfida per tanti filosofi e artisti cimentatisi sul tema
- luogo affascinante e misterioso - la cui fisionomia varia
col mutare dell'illuminazione artificiale a cui si deve necessariamente
ricorrere, finisce per risolversi in un gioco di doppi che
si fanno contorti e viscerali quanto le stratificazioni che
ne definiscono la sua fisionomia.
Un pezzo di natura si offre a un'operazione di make-up, manuale
e tecnologico insieme, per essere bloccato in una fotografia,
illusione che possa esistere uno strumento in grado di restituirci
un'immagine speculare della realtà che finisce inevitabilmente
per costituirsi testimone delle ansie asettiche e false, impeccabili
e replicanti, che vanno sempre più intensificandosi
ovunque esista l'uomo.
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