Ma.
Lo scorso inverno (ne dico ora, in preparato ritardo, perché
l’osservanza del metodo sincronico non di rado pilota
l’utente verso il plausibile sospetto che la dissertazione
abusi del frangente per l’impinguamento dello share)
Guillermo Habacuc Vargas, artista 50enne del Costa Rica, ha
tenuto presso la galleria “Codice” di Managua
la mostra “Eres lo que lees” (“Sei quello
che leggi”). La sola opera/installazione ivi esposta
era Nativity, un cane randagio prelevato dalla strada e legato
privo di viveri in un angolo dello spazio. Gli spettatori
era invitati, anzi agli spettatori era proibito dispensare
sostentamento alcuno alla creatura, secondo certi (come Leonor
Gonzalez, editore del supplemento culturale di “La Prensa”)
deceduta pochi giorni dopo l’inaugurazione, secondo
altri (come la galleria che ha ospitato l’evento) fuggita
in un momento di distrazione dei presenti.
In un'intervista rilasciata a “Nación”
l’artista (soprannominato, come si fa coi serial killer,
“Il torturatore”) ha dichiarato: "Salve a
tutti. Il mio nome è Guillermo Habacuc Vargas. Ho 50
anni e sono un artista. Recentemente sono stato criticato
per il mio lavoro intitolato “Sei quello che leggi”,
raffigurante un cane chiamato Nativity. Lo scopo del lavoro
non era causare sofferenza alla povera innocente creatura,
bensì illustrare un problema. Nella mia città
natale, San Josè, Costa Rica, decine di migliaia di
randagi muoiono di fame e malattia e nessuno dedica loro attenzioni.
Ora, se pubblicamente mostri una di queste creature morte
di fame, come nel caso di Nativity, ciò crea un ritorno
che evidenzia una grande ipocrisia in tutti noi. Nativity
era una creatura fragile e sarebbe morta comunque su una strada".
Ora, preferendo intanto rinunciare ad intrattenervi con un
inventario pedantesco degli artisti servitisi di animali per
le proprie produzioni (vedi, giusto per, i cavalli di Kounellis,
le interiora di Nitsch, le zebre e gli struzzi di Paola Pivi,
gli squali di Hirst…), è ovvio che non ci possa
esimere dal ritenere i vari “MUORI BASTARDO INFAME!”
o “GUILLERMO HABACUC VARGAS E’ UNO STRONZO CHE
PER FARE L’ARTISTA HA FATTO MORIRE UN CANE DI FAME E
SETE” o “IO METTEREI LUI AL POSTO DEL CANE, TANTO
SE IL CANE ERA RANDAGIO LUI E’ UN BASTARDO E PRIMA O
POI DOVRA’ MORIRE” o “QUESTO VARGAS E’
UN EMERITO COGLIONE E UN GRANDE FIGLIO DI PUTTANA”,
reperiti on line, più che condivisibili. Ed è
(tristemente) insolito notare come, ahimé solo in occasione
di episodi tanto disturbanti, la notizia di un presunto appuntamento
d’arte riesca a smuovere e intaccare l’opinione
umana tutta a quote controproducenti, quasi l’eventuale
intento propagandistico, cui la provocazione creativa ha più
volte mirato proprio attraverso la scalfittura dei limiti
consentiti, sia rimasto vittima di se stesso per un eccessivo
dosaggio di cruda crudeltà.
Poi: le giustificazioni di cui sopra rilasciate dal torturatore
potrebbero lasciar intendere, volendo proprio dimostrare un
atto di buona fede e di clemenza che in verità suppongo
non sarebbe manifestabile nemmeno da parte del più
santo e illuminato degli uomini in vita -e tanto meno da chi
scrive, un gesto di tale audacia (tentare di sensibilizzare
il mondo in merito alla questione in oggetto a costo della
propria reputazione, immagine e nomea) da meritare il beneficio
del dubbio.
In verità e per fortuna questo non può accadere
poiché chiunque sia dotato della pur minima dose di
“oggettiva” sensibilità riesce a non legittimare,
nemmeno in nome e a causa dell’arte, l’alibi per
una simile manovra espressiva, sia essa effettivamente generata
da oneste intenzioni concettuali tese a scuotere gli animi
(ma allora si preferisce il gran lavoro, meno concettuale
e ben più esplicativo, svolto da associazioni come
“Animal Amnesty”, l’eloquenza della quale
-dagli stickers ai video shock- lascia ben poco spazio al
concetto…) o, peggio, da auspici pubblicitario-divulgativi
che hanno superato il segno.
Allora l’arte batte la vita, in quanto ad atrocità?
Il pesce vivo servito ansimante e Nativity che muore dove
si fa arte sono casi tanto distanti tra loro o dietro a ognuno
dei due c’è lo stesso uomo? E se invitassimo
l’arte a moderare i suoi messaggi, oltre che a decidersi
di intraprendere la strada per un dire che se proprio deve
danneggi o uccida se stesso e il suo papà? E se, già
che ci siamo, chiedessimo all’uomo a cena, se proprio
deve, di saziarsi senza assistere a un funerale in diretta?
Da http://carolacatalano.blogspot.com:
“Vargas, in un comunicato diffuso via web, ha affermato
che ‘Sei quello che leggi’ non verrà più
chiamata opera d'arte, in segno di rispetto verso quanti si
sono sentiti offesi. Ha ammesso l'errore ed ha chiesto a tutti
di accettare le sue scuse.”
Bastava non farlo, Vargas. |