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Milano, apre il Museo delle Illusioni, con incredibili installazioni, illusioni visive, giochi e rompicapi.

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Concorso artistico Lucca Biennale Cartasia 2022, tema conduttore di questa edizione “The white page” (pagina bianca), le infinite possibilità per gli artisti di raccontarsi tramite le opere in carta.

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I vincitori del Premio Pritzker per l'architettura 2021 sono Anne Lacaton e Jean-Philippe Vassal: talento, visione e impegno per migliorare la vita delle persone.

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Al Palazzo Ducale di Genova, dal 9 settembre 2021 al 20 febbraio 2022 grande mostra di Maurits Cornelis Escher.

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Parigi, all’Espace Lafayette-Drouot "The World of Bansky”, su 1200 mq. esposte un centinaio di opere del più famoso street artist del mondo. Fino al 31 dicembre 2021.

L'OMONIMO ACRONIMO
Ovvero come la ripetizione annulla l'effetto.

di Cecilia Caliari
pubblicato il 14/05/2009
Se si decide di credere che lo spazio d'uso comunicativo sia ambiente d'utilizzo plurale e senza riserve, serve accettare il bisogno di rivolgere volumi a penne ritenute meritevoli. Presa distanza da falsi altruismi lavati con troppo ammorbidente, “Art & the City” decide di dedicare con saltuaria eleganza le proprie stanze a metodologie pensanti apparse senza dirlo.
Questa, la prima, è CECILIA CALIARI.
A voi auguro una buona lettura, a me un rifugio d'occorrenza dall'errore della generosità che confida.
S.E.
Ben Vautier
BonneCrise

 

k - LinGe
WhaT aRe YoU LoOkinG fOR?
 
L'istituzione museale è una risorsa basilare al fine di sostenere il sistema socio economico della società in cui è inserita.
E' uno strumento attivo, generatore di crescita in termini economici e di prestigio, ma diventa catalizzatore di cultura solo nel caso in cui mantenga un forte carattere identitario.

Partendo da questi presupposti e considerando il fatto che ci troviamo in Italia, sembra surreale constatare la smodata diffusione, purtroppo non del tutto recente, dell'uso degli acronimi per contrassegnare le istituzioni museali.
La passione per tali tipologie di sigle è di matrice prettamente statunitense, dato che la scelta di denominare MOMA il Museum of Modern Art rende il museo newyorkese uno dei più illustri predecessori nell'applicare tale usanza. Nel 1929 chiamare un museo di tale spessore con un nome buffo da simil-giocattolo sarà forse apparsa come una buona strategia per accostarsi a larghi strati di popolazione, rendendo meno ufficiale e più amichevole un istituto che alle sue origini era sinonimo di elitarismo.

Il sapore di novità di quella che è passata alla storia come un'idea azzeccata si è tradotto in una ripetizione insulsa e fuori luogo di monogrammi reiterati e sempre meno accattivanti. Dico insulsa e fuori luogo perché è improbabile pensare che con la creatività insita che ci portiamo dietro non abbiamo trovato un modo migliore e più espressivo di quella che è la nostra cultura per contrassegnare il museo, un veicolo da sempre usato, anche se con accezioni diverse, per trasmettere conoscenza e stimolare riflessioni, quelle che ci sono mancate nel momento in cui abbiamo ereditato in modo anemico e malsano tutta quella che è un'impostazione mentale volta all'abbreviazione e al profitto.
Così l'acronimo, da sempre usato tenendo conto dell'implicito aumento simbolico apportato dalla riduzione di una serie di parole in una sequenza di lettere che, proprio perché in minor quantità risultano più cariche di significato, si è piegato alla funzione di specchietto per le allodole.

Diverse sigle furono usate nelle epoche passate, basti pensare all'S.P.Q.R. dei romani o agli acronimi usati dai cristiani nei luoghi di culto: da sempre la riduzione di un concetto complesso in poche lettere stava a significare la forza del senso che esse trasponevano. Oggi la modalità contratta di esposizione si annida ovunque, è una strada fin troppo calpestata, tanto da perdere il bagaglio di senso che aveva in origine.
Internet sopra tutti ha diffuso le abbreviazioni dato l'incremento che apportano alla velocità della selezione, usando le tags che al passaggio del mouse sulla parola ne traducono il senso letterale.
Le persone sono tanto assuefatte dagli spot da non interessarsi più a scoprire il significato che portano in sé, non c'è distinzione tra lo slogan inventato per un profumo, il nome di un locale notturno e quello di un museo.

Ecco quindi che tutto rientra nello sbiadito circolo dell'ovvietà, di quello che ci si aspetta da ciò che si considera stabilito come ACCATTIVANTE. La massima parte dei musei nati negli ultimi decenni ha uno stendardo che si dispiega in poche lettere, le quali però non veicolano più il significato “altro”; le varie strategie rendono i musei portatori sani dell'innovazione tanto da tradurre il loro operato mediante scelte mai troppo azzardate, non hanno uno spirito innovativo che possa contraddistinguerli dal predecessore o da quello che nascerà. Lo sfruttamento di uno stesso tipo di input, da tempo ha fatto si che venisse canonizzato e quindi reso mano a mano più flebile all'attenzione di tutti.
Qualunque società/azienda oggi ha una sigla, e i musei vengono assimilati al resto anche nel nome; ora la domanda è: perché se persino nella prima presentazione che si fa di un museo si punta sul meccanismo di merchandising successivamente sopraggiunge lo stupore di vedere l'istituzione suddetta che si comporta come un'azienda?

La passionalità e l'improvvisazione mancano, in queste dimore dell'assenza in cui sempre più pressanti sono le ingerenze di ciò che nulla ha a che vedere con la creatività anche di un solo momento. I depositi pieni di opere che servono a barattarne altre sono un fondo, l'equivalente edulcorato ed esteticamente più gradevole di un caveau o della cella frigorifera di una macelleria.
Di conseguenza quindi anche i vari nomi vengono ripetuti in una sorta di folle name-dripping con la stessa frequenza dei suoni onomatopeici nei fumetti (dai quali sono in effetti non dissimili).
Considerando lo snocciolare tali nomi non spiritualmente affine ad una performance, magari di tipo post-futurista al quadrato, ma soltanto la prevedibile conseguenza della strategia partorita da un'economia sonnecchiante che si adagia su modelli consolidati e usurati, vengo assalita da una sorta di noia.
Proprio la noia dovrebbe essere lontana dalle sensazioni associabili all'arte dato che, come scrive Frédéric Beigbeder, “…c'è sempre una novità più nuova che fa invecchiare la precedente”.

Cecilia Caliari

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